ROMA – Sale al 50% e poi salta dal primo novembre la soglia per i subappalti, ma arrivano nuove garanzie per i lavoratori e sui controlli antimafia. Dopo giorni di trattative travagliate, Mario Draghi incassa la mediazione che gli consente di approvare in Consiglio dei ministri il decreto Recovery, il provvedimento con le norme sulla governance del piano e sulle semplificazioni essenziale per ottenere il via libera dell’Unione europea e i primi fondi. Fino all’ultimo, il testo cambia e alla fine arriva l’intesa con i sindacati sugli appalti, con le Regioni sulla governance e con tutti i partiti della maggioranza. Tra le novità in Cdm arriva il dimezzamento dei tempi per la valutazione di impatto ambientale dei progetti del Pnrr e delle opere collegate: in caso di ritardo scatteranno rimborsi. Salta l’estensione del Superbonus agli alberghi, ma arriva per gli ospedali. Scompare il bollo per i certificati digitali. Viene imposta una soglia del 30% di assunzione di giovani under 36 e donne per le aziende che vogliano accedere ai bandi del piano. L’assunzione di 350 tecnici per la governance viene rinviata al decreto sulla Pa atteso la prossima settimana. Non c’è più, per gli appalti, la regola del massimo ribasso prevista dalle bozze iniziali. E cambia – questo il nodo che fino all’ultimo minaccia di far saltare l’intesa – il subappalto.
La Commissione europea, annuncia Ursula Von Der Leyen, è pronta ad andare sui mercati per raccogliere i fondi necessari a finanziare i piani nazionali legati a Next generation Eu. Che il processo parta senza ritardi, grazie alla ratifica di tutti gli stati membri, è un’ottima notizia per l’Italia: rende possibile l’erogazione di una prima tranche di fondi a luglio. Ecco perché per Draghi era essenziale l’approvazione entro la scadenza di maggio del decreto che fa da «pilastro» all’esecuzione del piano, con le norme sulla governance e sulle semplificazioni. E’ un passaggio importante per avere il via libera della Commissione Ue sul Piano nazionale di ripresa e resilienza e confidare che a luglio per l’Italia arrivino i primi 25 miliardi da Bruxelles. Il via libera alle norme arriva dopo un tribolato confronto nel governo, con i sindacati e con gli enti locali. Le Regioni, informate in mattinata dal ministro Maria Stella Gelmini e dal sottosegretario Roberto Garofoli sui contenuti del decreto, minacciano un ricorso alla Corte Costituzionale senza alcune modifiche, in particolare sulla governance del piano: chiedono un coinvolgimento più pieno, o non sarà possibile «garantire la realizzazione dei lavori nei tempi previsti». Anche i Comuni sono sul piede di guerra: lamentano la mancanza di semplificazioni edilizie (è sparita una norma sui centri storici) e vedono saltare la norma, attesa e poi stralciata dal testo, per l’estensione del Superbonus agli alberghi. Alla fine l’okay delle Regioni arriva con una mediazione, promossa da Gelmini: il presidente della Conferenza delle Regioni parteciperà alle sedute della cabina di regia e dei Comitati per la transizione ecologica e digitale quando tratteranno temi regionali.
Quanto ai sindacati, che in mattinata sono in piazza e continuano a chiedere al governo la proroga del blocco dei licenziamenti, la trattativa va avanti per ore sulle norme che riguardano i subappalti. Per l’intesa premono il ministro Andrea Orlando per il Pd e Roberto Speranza di Leu. E alla fine, dopo un ultimo tavolo tecnico a ridosso del Cdm, si trova un punto di equilibrio che sembra andare bene a tutti: fino al 31 ottobre la soglia degli appalti sale dal 40 al 50%, poi dal primo novembre cambia il criterio, per allinearsi alle normative europee. Viene eliminata ogni soglia ma le stazioni appaltanti indicheranno i lavori che non si potranno subappaltare, inoltre – come chiesto dai sindacati – il contraente principale e il subappaltatore sono responsabili in solido. C’è inoltre l’aggiunta di norme innovative, sottolineano a Palazzo Chigi, per tutelare lavoratori e legalità. Il subappaltatore dovrà garantire gli stessi standard qualitativi previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori lo stesso trattamento economico e normativo che avrebbe garantito il contraente principale, incluso il contratto collettivo nazionale. Le stazioni appaltanti devono inoltre assicurare «una più intensa» tutela della sicurezza e «prevenire il rischio di infiltrazioni».
Di «buon risultato» parla Maurizio Landini. Esultano il Pd con Orlando e Dario Franceschini, che parla di «equilibrio” raggiunto sull’accelerazione dei lavori e la tutela dei beni culturali. E’ soddisfatto Speranza, che già parla di altri miglioramenti possibili in Parlamento, e il Movimento 5 stelle, che sottolinea il risultato acquisito dell’eliminazione del massimo ribasso. Ma manifestano soddisfazione anche Forza Italia, che con Renato Brunetta sottolinea l’approdo a una “pubblica amministrazione più semplice e vicina ai cittadini» e la Lega. Il partito di Matteo Salvini, che indicava l’obiettivo del superamento del codice degli appalti, rimarca l’arrivo di soglie più alte per l’affido diretto e un «silenzio assenso vero per tutte le pratiche», nonché «tempi più brevi per i contratti pubblici».
La governance del piano pone al centro Palazzo Chigi, con la cabina di regia e la segreteria tecnica che durerà fino al 2026 (anche oltre la durata del governo), e il ministero dell’Economia. Ma i ministri, che saranno coinvolti per le materie di competenza, non oppongono obiezioni. Anche se le letture della norma sono opposte: il M5s parla di continuità rispetto alla governance prevista dal governo Conte, Iv all’opposto esulta per il superamento della stagione contiana. Due visioni inconciliabili. Ma il via libera in Cdm è unanime: all’apparenza, tutti contenti.