“Catania: da città sul mare a città di mare”: questi giorni il Dicar (Unict) è stato quartier generale per un convegno – organizzato dal Centro di documentazione, ricerca e studi sulla cultura dei rischi presieduto da Antonio Pogliese – che ha riunito istituzioni, mondo universitario, professionisti. Presente anche l’Ordine degli Architetti PPC del capoluogo etneo, che, oltre a consegnare un documento contenente la sintesi dell’impegno della categoria (redatto facendo la sintesi di alcuni contributi dei Consigli e degli Uffici Speciali Governo del Territorio che si sono avvicendati dal 2014 ad oggi), ha lanciato una proposta per cercare finalmente di far convergere aspetti tecnici, economico-finanziari, normativi, ma anche “visioni” sull’organizzazione di un territorio che mai come adesso dev’essere (ri)disegnato su ampia scala e con un’identità chiara, attraverso un’idea solida di bellezza, proporzione, sicurezza e utilità.
«Un’iniziativa nata per dibattere su una questione che da sempre è stata al centro del futuro di questa città, ma che purtroppo rimane ancorata al passato, nonostante gli sforzi, nonostante la voglia di superare l’impasse in cui ci ritroviamo da anni – sottolinea il presidente degli Architetti Sebastian Carlo Greco – Abbiamo subito inermi per troppo tempo lo schiacciamento del potere economico votato al solo profitto sulle Città. Di rado oggi assistiamo ad occasioni dove emerge la qualità o dove si emerge per qualità. Vero è che norme sterili, burocrazia, procedure contorte e strumenti obsoleti hanno imbalsamato tutto, ma altrettanto vero è che la nostra comunità ha espresso un pensiero troppo spesso inascoltato. È necessario che la politica riparta colmando l’assenza degli indirizzi sulle questioni che competono agli Architetti. La promozione della conoscenza dello spazio in cui viviamo, naturale e antropizzato, incoraggia il senso di opportunità e di identità. Questo implica una grande responsabilità sociale nell’attivare politiche e processi in grado di assicurare la qualità dell’abitare la Città. Bisogna liberarsi dell’idea di fruire di progettazioni prodotte per la esclusiva necessità di non perdere fondi di finanziamento, che si sono purtroppo mostrati quale unica strada percorribile verso il cambiamento. Questo cambiamento deve riguardare anche la riconversione armonica del diaframma esistente tra tessuto urbano e linea di costa: il waterfront non può essere considerato come una semplice linea di confine tra terra e acqua, ma piuttosto come un sistema complesso di relazioni tra la fascia costiera e la città; come un luogo scenografico di alto valore; come un nodo di connessione tra flussi infrastrutturali di due diversi sistemi, quello marino e terrestre; come laboratorio di idee per strumenti pianificatori innovativi e modelli sperimentali di tutela ambientale e sostenibilità socio-culturale nel rispetto delle matrici identitarie».
La proposta che va in questa direzione? «L’attivazione di un Ufficio dedicato alla fascia costiera e allo sviluppo litoraneo – interno alla Direzione Urbanistica – che riunisca tutti gli attori presenti in questi giorni e che, ragionando su un’unica dorsale che da Malta arriva fino a Reggio Calabria, possa finalmente dar vita a un pensiero armonico di sviluppo, dove far incrociare tutte le competenze – continua il presidente – L’atavica negazione del rapporto con il mare è stata una delle principali cause del mancato innesco di meccanismi di riqualificazione economica e sociale, impedendo l’insorgere di effetti migliorativi di lungo raggio e ampia penetrazione. Fondamentale sarebbe la sinergia tra azione pubblica e privata, a dimostrazione di come sia sempre possibile ottenere ottimi risultati attraverso la condivisione dei processi decisionali e attuativi e la cooperazione tra enti e soggetti diversi. Il Piano della fascia costiera dovrebbe essere oggetto di un concorso di progettazione in due fasi. Ciò consentirebbe di definire uno scenario generale dentro il quale sviluppare, poi, le varie peculiarità di ogni tratto del fronte lungo mare, valorizzandone i caratteri identitari e le vocazioni. Tale lavoro – conclude Sebastian Carlo Greco – svolto con il necessario coordinamento di tutti gli Enti coinvolti, contribuirebbe allo sviluppo degli elementi architettonici e paesaggistici che verrebbero così a caratterizzare il nostro Parco del Mare e restituirebbe un luogo di straordinaria bellezza a residenti e visitatori, oltre a divenire motore rigenerativo per l’intero sistema urbano».