Inchieste
Spinelli a scuola, non bastano i blitz: il nostro reportage sul fenomeno
L’erba nello zaino: non bastano i blitz
Uno spaccato del fenomeno della droga portata dagli studenti all’interno degli istituti alla luce della tragedia di Lavagna dove un ragazzo si è lanciato dal balcone dopo il blitz in casa chiesto dalla mamma in seguito al fatto che il figlio era stato trovato pochi giorni prima in possesso a scuola di una modica quantita di hashish. Ma ci sono ragazzi che già all’ultimo anno delle medie hanno avuto un primo contatto con gli spinelli e che quando arrivano alla scuola superiore sono già “pronti” anche a fare il salto di qualità, a venderle le “stecche” di marijuana. Costano poco, 10 euro, e a scuola non mancano i posti dove imboscarsi. Dopo il suicidio del ragazzo di Lavagna il dibattito sulla droga a scuola è più vivo che mai. Due presidi, in questo nostro reportage ne hanno parlato apertamente (altri interpellati hanno declinato l’invito “ci sono di mezzo minorenni”) sottolineando come la battaglia alla droga debba essere frutto di un’azione collettiva, di un patto tra docenti, genitori, psicologi, educatori.
La preside del Vaccarini: «Sì ai cani a scuola, ma non una tantum»
«I cani antidroga a scuola? La mia posizione è assolutamente d’apertura – dice Salvina Gemmellaro, preside dell’ Is Vaccarini, 1.025 alunni tra liceo e istituto tecnico nelle loro diverse articolazioni – ne ho già parlato con i colleghi e con i rappresentanti d’Istituto. Secondo me però dev’essere fatto nella continuità, non sono per l’episodio singolo, ma per l’ intervento che si ripeta anche a sorpresa almeno tre quattro volte l’anno in una giornata qualunque. Il momento singolo in cui la forza dell’ordine rappresenta l’estraneo che viene a scuola per pizzicare qualcuno, non mi interessa, non è questa l’idea che voglio portare avanti. La scorsa settimana si è istituita la Zona 2 dell’osservatorio d’Area in cui ricade la mia scuola peraltro individuata come coordinatrice Rep (Rete di educazione prioritaria) una sigla nuova che comprende anche “Archimede”, “Cavour” e “Fermi-Eredia”. L’idea è quella di lavorare un triennio sul disagio giovanile, che poi è legato al disagio genitoriale. La verità è questa».
Come se lo spiega questo disagio?
«Mi sono interrogata più volte anche con i miei collaboratori: lo leghiamo ad un disagio complessivo dei ragazzi che trascorrono molte ore a scuola e che hanno un bisogno costante di far emergere questo loro “navigare”, a volte nel buio. La scuola oggi è il luogo dove si apprendono competenze, ma è anche il luogo in cui si manifesta più evidentemente questo disagio».
Nella sua scuola che succede?
«Lo fanno di nascosto, però si sente, si ciaurìa , utilizzando un’espressione dialettale. Per la mia realtà di scuola parlo di cannabis, almeno qui non c’è mai stato altro».
La vendono gli stessi ragazzi?
«Ci sono alunni che arrivano, come dire, già “pronti” dalla scuola media e questa è una cosa che ho potuto verificare anche dalla mia passata esperienza al Polivalente di S. G. La Punta, sono proprio i più piccoli. Poi ci sono anche persone che dall’esterno individuano e “istruiscono” alunni più fragili».
Quando se ne accorge che fa?«Quando non ho la certezza della prova mi limito a comunicare il dubbio ai genitori in virtù di quel patto di corresponsabilità che ogni anno loro rinnovano con la scuola come istituzione. Dico loro che ho un sospetto, poi sta a loro andare a verificare tramite un’analisi al sangue la presenza o meno di qualcosa che sia diverso dal semplice fumo della sigaretta».
E come reagiscono?«C’è chi davanti ad una chiamata si allarma moltissimo e poi magari ringrazia per la segnalazione ma ci sono anche genitori che fanno finta di non vedere e anche genitori che in famiglia ne fanno uso».
La preside dell’alberghiero di Giarre: «Spesso i genitori non vogliono vedere»
«So che è brutto da dire, ma ci sono studenti che vengono a scuola esclusivamente per questo, come se venissero a lavorare. E il problema non riguarda tanto i ragazzi del quinto anno, quanto i più piccoli, tra i 15 e i 17 anni, e il fenomeno è in aumento». Per la preside dell’alberghiero di Giarre, Monica Insanguine, il fenomeno dello spaccio di marijuana a scuola è una fotografia molto chiara.
«Il problema ce l’ho principalmente nella sede di Riposto – dice – perché vicino la scuola c’è una piazzetta dove si spaccia che fa un po’ da trait d’union fra tutte le scuole di Giarre. Ogni tanto ci mando qualche prof. a controllare, ma non posso intervenire più di tanto, perché è fuori dall’istituto. Per quanto riguarda quello che succede dentro, ho parlato con i carabinieri di Riposto e loro stessi mi hanno detto: “Preside noi possiamo venire, ma i cani immediatamente fiuteranno qualcosa e succederà che dovremo portare via alcuni ragazzi, lei è pronta ad affrontare una situazione di questo genere?”. Devo dire che una decisione così pesante, da sola, non me la sono assunta. Ne ho parlato recentemente con i miei collaboratori e loro mi hanno consigliato di aspettare un po’ per vedere se noi stessi riusciamo a fare qualcosa».
E cosa potete fare?
«Quello che, in maniera molto blanda, la legge ci consente di fare, vale a dire multare chi fuma a scuola – e io non faccio indagini su quello che stanno fumando -. Il dirigente scolastico può elevare una contravvenzione pecuniaria da 27 euro in poi».
E i ragazzi pagano?
«Gli ultimi due che abbiamo multato hanno pagato e, tra l’altro, sono stati oggetto anche di provvedimenti disciplinari perché comunque, oltre al fumo, avevano dei comportamenti inadeguati».
Altre strategie?
«Chiamare i genitori, ma spesso non vedono o fanno finta di non vedere, per questo penso sia apprezzabile l’operato della mamma di Lavagna che ha chiamato i finanzieri nonostante le tristi conseguenze».
I genitori dei suoi ragazzi come la prendono?
«Cadono dalle nuvole: “ma come, mio figlio?”, e questo anche quando siamo non certi, di più. Quando abbiamo le prove provate. Purtroppo devo constatare che non c’è alcuna presa di coscienza da parte dei genitori, non so capire se per vergogna, per ignoranza o per una semplice non accettazione della situazione».
Sono più i ragazzi o le ragazze a fumare canne?
«Tutti, più o meno dal secondo anno in poi. In tante occasioni siamo stati costretti a chiamare l’ambulanza per delle crisi di panico soprattutto delle ragazze. Spesso non mangiano e fumano marijuana. Altre sostanze non ce n’è, almeno la realtà giarrese è questa».
Il genitore: «Inizierei con una azione dimostrativa»
Piedi di piombo ma idee chiare. «In linea di massima – dice Rino Puleo, genitore, vicepresidente del Consiglio d’Istituto del liceo classico Cutelli – non sarei contrario, ma parlo a titolo personale, alla presenza dei cani antidroga a scuola. Secondo me sarebbe importante anche per dimostrare che lo Stato si interessa a queste problematiche e va proprio lì, al cuore del problema, ma mi muoverei per gradi, cioè comincerei con una sorta di azione dimostrativo- divulgativa».
Cioè?
«Farei sì venire le unità cinofile a scuola e “usare” i cani come viatico per parlare di questi argomenti ai ragazzi. Per quello che mi risulta al Cutelli non mi sembra che ci sia attività di spaccio, o almeno non credo. Per quello che è arrivato alle mie orecchie qualcuno è stato scoperto a farsi uno spinello di nascosto, ma mi sembrano casi del tutto marginali. Certo, se si dovesse accertare che non fosse sufficiente un’azione semplicemente dimostrativa, allora sarei il primo a proporre un’ispezione delle forze dell’ordine a scuola».
Altrimenti che strumenti avete per controllare?
«Per il Cutelli esiste da tempo una normativa antifumo, che, ovviamente, riguarda tutti i tipi di fumo, normativa per la quale abbiamo chiesto un’applicazione più severa un paio di mesi fa in sede di Consiglio d’istituto, insomma abbiamo deciso di dare un giro di vite sul fumo a scuola. In questo momento la regola che vige è che i prof. se dovessero vedere qualche ragazzo che fuma devono portarlo in presidenza e poi lì sarà la dirigente a decidere».
Lo psicologo: «Creare una rete attorno agli adolescenti»
«Creare una rete attorno agli adolescenti che hanno bisogno di punti di riferimento perché da soli genitori, ragazzi o docenti, non riescono ad affrontare problematiche che, spesso, diventato molto più impegnative di quanto essi stessi possano arrivare a pensare». Per Salvatore Scardilli, dirigente psicologo e psicoterapeuta del Sert Catania 2, i genitori che hanno il sospetto di avere un figlio che fa uso di sostante stupefacenti «hanno a disposizione una rete territoriale che è capace di accogliere le loro e di riuscire a dare delle risposte da parte di specialisti».
«I genitori che si trovano di fronte ad una situazione che percepiscono come molto più grande di loro e si trovano da soli, cercano magari delle soluzioni immediate dettate dall’ansia, dalla paura, dall’angoscia».
Come la mamma di Lavagna?
«Forse questa madre non sapeva che esistono dei servizi pubblici territoriali che sono capaci di dare delle consulenze attente ed eventualmente affrontare la problematica».
E la scuola?
«Più che fare delle conferenze che spesso poi non riescono ad incidere sui comportamenti, sarebbe meglio riuscire a sviluppare dei percorsi informativi sul problema perché all’interno di gruppi contenuti è molto più facile riuscire a stimolare la discussione. L’intervento che potrebbe dare i migliori risultati è un approccio sistemico in cui le comunità territoriali, la comunità scolastica o più in generale le comunità educative, dovrebbero essere sensibilizzate affinchè riescano precocemente a comprendere se c’è un problema».
Qual è la prima cosa da fare?
«Capire se il comportamento marginale del ragazzo sia dettato dall’uso di sostanze o ci siano altre motivazioni, magari psicologiche o relazionali. Il servizio sanitario è capillarmente all’interno del 90% delle scuole superiori di Catania dove apre degli sportelli di consulenza i Cic (Centro informazioni e consulenza) con operatori dei servizi per le dipendenze e docenti che insieme creano un gruppo per portare avanti tutta una serie di attività sul piano della prevenzione che della consulenza».
Se all’interno di una classe un professore ha il sospetto che un suo alunno faccia uso di sostanze stupefacenti?
«La cosa più importante è riconoscere i comportamenti iniziali il che non significa essere psicologi o medici ma solo degli educatori attenti. Dopodichè deve coinvolgere gli adulti significativi i genitori in particolare, coinvolgendo tutto il sistema che ruota attorno alla scuola».
Il 34% degli studenti ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale
Il 34% degli studenti ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso della propria vita e circa il 27% nel corso dell’ultimo anno. Sono circa 650mila quelli che hanno fatto uso di una sostanza nel 2015. Per il 15% degli studenti si tratta di “policonsumo”.
La fotografia emerge dallo studio transnazionale ESPAD (European School Survey Project on Alchohol and Other Drugs), condotto annualmente in Italia dall’Istituto di Fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IFC-CNR) per raccogliere informazioni sulla prevalenza dei consumi di sostanze illegali fra gli studenti di 15-19 anni.
I dati sono stati divulgati dalla comunità di San Patrignano in occasione della nuova campagna di raccolta fondi “Per i nostri figli”, dedicata appunto a genitori e figli: dal 17 febbraio scorso e fino al 13 marzo prossimo si potrà inviare un SMS da cellulare al numero solidale 45518 per donare 2 euro, o chiamare da rete fissa per donare 5 e 10 euro.
Dallo studio del 2015 emerge, poi, che la sostanza maggiormente utilizzata è la cannabis, seguita da cocaina, stimolanti e allucinogeni, mentre l’eroina è quella meno diffusa. Un terzo degli studenti italiani di 15-19 anni ha provato cannabis almeno una volta nella vita mentre quasi il 27% l’ha utilizzata di recente. Mentre circa il 4% ha provato cocaina almeno una volta nella vita e quasi il 3% lo ha fatto nell’anno di rilevazione. Il 18% ha dichiarato di aver utilizzato psicofarmaci non prescritti dal medico almeno una volta nella vita e il 10% di averli assunti durante l’anno.
Un dato preoccupante rispetto all’eroina: 5.000 sono i quindicenni maschi che ne hanno fatto uso; fra loro la droga più popolare dopo la cannabis. Se è vero che l’assunzione per via inalatoria ha favorito il primo approccio con questa droga, è altrettanto vero – secondo l’indagine – che 3.000 di questi giovanissimi sono arrivati a farne uso per iniezione. Un numero che sottolinea quanto sia diminuita negli anni la percezione del rischio rispetto a questa sostanza e l’Aids.
I minorenni presi in carico dai Servizi Sociali della Giustizia Minorile per la prima volta nel corso del 2015 sono stati 7.752 e a questi sono stati 5.131 i reati ascritti per violazioni di cui all’art.73, relativo a Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti. I minori e i giovani adulti presi in carico dai Servizi Minorili per uso/abuso di sostanze stupefacenti sono stati 3.647: si tratta soprattutto di maschi 94% e di soggetti di nazionalità italiana 85%. Il consumo delle sostanze stupefacenti risulta generalmente associato a quello dell’alcool. E sempre nel 2015 sono stati 1.688 i minori inviati in Comunità terapeutiche dei quali 280 per consumo di sostanze psicoattive.
Un ultimo dato preoccupante arriva ‘dal campo’: gli operatori dei NOT, Nuclei operativi per le tossicodipendenze, confermano che si e’ abbassata l’età del primo consumo di sostanze stupefacenti e/o psicotrope e, inoltre, che anche tra le persone segnalate si registra, negli ultimi anni, un maggior numero di “poliassuntori”, cioe’ che assumono stupefacenti inassociazione con alcolici.