Mafia, maxi operazione a Palermo: è mazzata al clan di corso dei Mille

Di Redazione / 02 Luglio 2019

PALERMO – Il pizzo a Palermo lo pagano tutti. Lo «racconta» l’ultima indagine della squadra mobile riuscita a ricostruire la mappa delle estorsioni nella zona di Brancaccio e Corso dei Mille. Negozi di detersivi, di calzature, bar, autosaloni, ristoranti, macellerie perfino l’ambulante che vende pesce costretto a versare un euro per ogni chilo di calamari, orate o cozze acquistate. Negli anni di crisi, anche Cosa nostra ne risente, tutto serve per fare cassa e continuare a sostenere le famiglie dei mafiosi finiti in carcere. E i due capi della cosca Luigi Scimò, impresario di pompe funebri con un’attività in via Amedeo D’Aosta, e Salvatore Testa, che aveva fino a qualche tempo fa un’attività di rivendita di autoricambi di auto, non tralasciavano nulla. “Tutti devono dare un pensierino per i cristiani nelle celle», diceva Testa, non sapendo di essere intercettato, parlando con i suoi uomini.
I due uomini d’onore grazie a società compiacenti riuscivano a piazzare inoltre le slot machine e video poker in diverse zone della città. Uova dalla galline d’oro che fruttavano tanti soldi. Tutto ben celato da società di comodo intestate a prestanome e teste di legno.


E il loro business doveva essere preservato anche dalle rapine. Il 26 giugno del 2016 tre giovani entrarono nella sala bingo Taj Mahal in via Emerico Amari a Palermo e fecero una rapina. Colpo che danneggiò la «famiglia», visto che nella sala bingo in amministrazione giudiziaria, grazie alle società compiacenti, Testa e Scimò, avevano piazzato le loro “macchinette». I due boss riuscirono a ritrovare i tre giovani rapinatori e li «interrogarono». Le microspie dei poliziotti piazzate in Largo Cammareri Scurti hanno intercettato l’interrogatorio. «Che è successo. Alla fine siamo sballati di testa, eravamo senza soldi», diceva uno dei giovani rapinatori.


E Salvatore Testa: «Ti rivolti contro di noi. Ti rivolti?» «E io non sapevo una cosa di questa. – rispondeva il rapinatore – Una cosa era del curatore, se no io metto il freno a mano. Non Mi permetto di fare una cosa di queste». Il sistema dei prestanome usato per piazzare le slot machine, gestite quasi in regime di monopolio, è stato utilizzato, secondo gli inquirenti, anche per aprire case di riposo intestate formalmente a incensurati. Gli agenti del commissariato Brancaccio ne hanno censite numerose, nate come funghi negli ultimi anni, senza autorizzazioni e con gestioni familiari. Ne sono state trovate in via Pianel e in via Pigafetta. Testa e Scimò, inoltre, programmavano la loro attività in un appartamento in via Fratelli Campo 33 a Palermo. Qui incontravano anche i boss di altri quartieri, di altri paesi della provincia e di altri capoluoghi come Pietro Salsiera, Sergio Napolitano, Filippo Bisconti e Leo Sutera. Nel corso dell’inchiesta sono stati effettuati anche numerosi sequestri di droga e di tabacchi di contrabbando: segno che la cosca controllava tutti i traffici e cosa accadeva sul territorio. Nulla sfuggiva all’organizzazione mafiosa che in poco tempo è riuscita anche a trovare gli autori del furto dello scooter rubato al genero del capomafia. 

In carcere sono finiti: Luigi Scimò, 56 anni, Salvatore Testa, 57 anni, Giuseppe Di Fatta (nato in Germania), 49 anni, Salvatore Giordano, 54 anni, Patrizio e Aldo Militello, di 41 e 46 anni, Giovanni De Simone, 57 anni, Pietro Di Marzo, 30 anni, Girolamo Castiglione, 65 anni, Stefano e Gioacchino Micalizzi, di 57 e 32 anni, Vincenzo Machì di 57 anni. Arresti domiciliari sono stati disposti per Lorenzo Mineo, 59 anni, Filippo Maria Picone, 67 anni, Francesco Salerno, 49 anni, Enrico Urso, 35 anni, Santo Licausi, 36 anni, Paolo Leto, 28 anni, Gaetano Li Causi, 29 anni, Caterina Feliciotti, 34 anni, Paolo Rovetto, 25 anni, Pietro Rovetto, 44 anni. Divieto di dimora per Giovanna D’Angelo, 53 anni, Pietro Mendola, 47 anni, e Anna Gumina, 50 anni.

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