Ci eravamo dati appuntamento per
festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra
all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il
latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo
degli spari’, racconta settant’anni dopo ancora commosso
Serafino Pecca, l’ultimo sopravvissuto alla strage dei contadini
di Portella della Ginestra.
‘Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma
alla seconda raffica ho capito – continua -. Ho cominciato a
cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i
corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima
morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora
oggi negli occhi, non la posso dimenticare’.
‘A sparare fu la banda di Salvatore Giuliano, i mandanti non
si conoscono ancora ma ad armare la sua mano furono la mafia, i
politici e i grandi feudatari – spiega Pecca -. Volevano farci
abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui
poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi
facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la
fame’.
”Un mese dopo successe pero’ una cosa importante – dice con
orgoglio -. Tornammo qua a commemorare i morti senza paura, ‘Non
ci fermerete’, gridavamo tutti e non ci hanno fermati. Abbiamo
cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ’52 abbiamo
ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si
sono fermati, e a giugno bruciarono sedi di Cgil e partito
comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti’.
Settant’anni dopo la memoria è ancora viva. ‘Quei morti vanno
ricordati ancora, perché la mafia è sempre forte. Prima era
nelle campagne, ore è nei palazzi’.