La mappa dei clan siciliani

Di Redazione / 29 Luglio 2016
1469828039738_1619028828196
1469828039572_1619028833817
1469828038501_1619028836033
1469828038335_1619028838514
1469828038158_1619028841025
1469828039197_1619028843508
1469828039903_1619028846328
1469828039379_1619028848781
1469828038674_1619028851019
1469828038879_1619028853516
1469828039033_1619028856965
1469828040121_1619028859329

Cosa nostra, orfana della Cupola che non esiste più, si rituffa nel mercato della droga e non disdegna di “pescare” la nuova manovalanza tra gli stranieri. In mezzo c’è il solito ricorso al pizzo, i tentativi di infiltrarsi nelle amministrazioni locali per il controllo degli appalti, il tentativo di controllare i settori dell’agroalimentare e della zootecnica alla ricerca dei fondi Ue.

E’ questa la fotografia che dà della mafia siciliana la Dia che ha pubblicato la sua relazione semestrale relativa al secondo semestre del 2015.

E inoltre la Dia rileva una cerca differenza nelle dinamiche mafiose tra la Sicilia occidentale e quella orientale. Nel Palermitano addittura sono state rilevate tensioni tra i fedeli a Totò Riina e tra i “supporter” di Bernardo Provenzano, le aspirazioni di indipendenza dei clan dell’Alto Belice e la nascita di una nuova famiglia: quella di di Chiusa Sclafani.

Nel Catanese è stata notata una certa migrazione di affiliati di secondo piano da un clan all’altro per mere questioni di opportunismo mentre i clan sono posizionati su su tre livelli. Il primo è quello, più strutturato, della famiglie di cosa nostra a Catania e provincia come i Santapaola e i Mazzei e i La Rocca a Caltagirone. Il secondo livello – considerato meno evoluto ma non meno pericoloso – è quello dei Cappello Bonaccorsi e dei Laudani (clan in particolare fermento); il terzo livello è costituito dai clan ormai pressoché disarticolati come i Pillera, Sciuto, Cursoti, Piacenti e Nicotra ormai di fatto – secondo la Dia – assorbiti dal clan Cappello Bonaccorsi. Regna comunque una certa pax frutto di accordi per la spartizione del territorio. Droga e pizzo non si abbandonano mai, ma c’è – rileva la Dia – una strategia di inabissamento funzionale ad evitare allarme sociale e una presenza sul territorio che privilegia il reinvestimento dei capitali illeciti infiltrandosi nell’economia legale. La propensione – scrive la Dia – è colonizzare qualsiasi aspetto della vita sociale ed economica per ricavare profitti, prestigio e riconoscimento pubblico (come ad esempio gli “inchini” davanti la casa dei boss del paese). E il tutto tenendo sempre solidissimi i contatti con le cosche che operano soprattutto nel Nord America dove ci sarebbero, secondo l’Fbi, addirittura 2500 mafiosi.

Condividi
Pubblicato da:
Redazione
Tag: cosa nostra dia droga mafia