PALERMO – “L’ulteriore suicidio di un serbo quarantunenne nel carcere di Enna, avvenuto il 3 dicembre scorso, ripropone il grave e delicato problema del rischio suicidario nelle carceri, rispetto al quale l’attenzione del personale penitenziario e sanitario non è mai troppa”. Lo afferma in una nota il Garante dei diritti dei detenuti per la Sicilia, Giovanni Fiandaca. “In questo caso – dice Fiandaca – si è trattato di un soggetto in custodia cautelare per il reato di maltrattamenti in famiglia, il quale, secondo quanto risulta dalle prime informazioni, sarebbe stato sottoposto ad assidua sorveglianza e osservazione psicologica a opera sia degli agenti penitenziari, sia dello psicologo dell’istituto.
Sarebbe stato, altresì, visitato due giorni prima dell’evento infausto da uno psichiatra, il quale non avrebbe però segnalato concreti rischi di atti auto lesivi”. Secondo Fiandaca quest’ennesimo caso di suicidio “fa riemergere da un lato il problema della difficile prevedibilità dei gesti suicidari ma, dall’altro lato, mette in evidenza l’esigenza che gli psichiatri addetti alle carceri maturino una sempre più affinata competenza nel diagnosticare e prevedere il pericolo concreto di atti autolesivi da parte di soggetti detenuti affetti da quelle forme di disagio psicologico che lo stato detentivo provoca o aggrava nei soggetti più disturbati o più fragili”.