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Il parere

Sviluppo con il lavoro sostenibile nei siti Patrimonio dell’Umanità

Appare lecito chiedersi se l'ordinamento italiano possa tutelare questi luoghi dalla presenza massiva dei lavoratori che quotidianamente vi si recano

Di Roberto Scelfo |

È argomento di grande attualità, soprattutto dopo le recenti calamità naturali, quello della tutela dell’ambiente, con particolare riferimento alla sostenibilità del lavoro nei siti Unesco.L’Italia detiene il maggior numero di siti tra i beni Patrimonio dell’umanità e di questi ben sette si trovano in Sicilia. Con orgoglio si ricordano la Valle dei Templi di Agrigento, la Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, le isole Eolie, l’Etna, Siracusa e le necropoli di Pantalica, le Città Tardo-Barocche del Val di Noto (Caltagirone, Militello in Val di Catania, Catania, Modica, Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa e Scicli), Palermo arabo-normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale.

L’iscrizione nella lista dell’Unesco tutela i siti storicamente più rilevanti da conflitti militari, disastri naturali, saccheggi e pressioni economiche e sicuramente incrementa il comparto del turismo, tanto importante per l’economia della nostra amata Isola.Molto si è detto sulla sostenibilità dei flussi turistici in questi luoghi, ma poco sull’aspetto legato all’impatto delle attività lavorative all’interno di tali siti.È dunque lecito chiedersi se l’ordinamento italiano possa tutelare questi luoghi dalla presenza massiva dei lavoratori che quotidianamente vi si recano.

Oggi si parla del “diritto del lavoro sostenibile”: i principi del programma dell’Agenda Onu 2030 sullo sviluppo sostenibile, infatti, mirano a bilanciare esigenze economiche, sociali e ambientali nel mondo del lavoro, dove si devono assicurare condizioni dignitose, sicure e giuste e la riduzione dell’impatto ambientale in favore di pratiche aziendali eco-compatibili. Tale approccio promuove l’occupazione di qualità e l’equità sociale con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti fondamentali. L’Agenda 2030 ha influenzato, inoltre, la recente riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione che sanciscono il principio del coordinamento dell’attività economica all’obiettivo della sostenibilità ambientale.

In tal senso vi sono indicazioni anche nel Regolamento Tassonomia (2020/852) dell’Ue che ha introdotto il principio per cui tutte le decisioni pubbliche e private dei piani di ripresa e resilienza non devono causare “danni significativi all’ambiente”. In Italia, fino a qualche anno fa, con specifico riferimento al mondo del lavoro, la tutela dei siti Unesco e dell’ambiente poteva essere attuata solo indirettamente mediante lo strumento dello smart working, disciplinato dalla Legge n. 81/2017. Il cd “lavoro agile” prevede che la prestazione si svolga in parte all’interno e in parte all’esterno dei locali aziendali, anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici, e la non necessarietà di una postazione fissa se svolto fuori sede.È tristemente noto che lo smart working è divenuto, prepotentemente e improvvisamente, la forma normale di esecuzione del rapporto di lavoro durante il periodo di lockdown imposto per l’emergenza sanitaria Covid-19 e per i mesi successivi allo stesso.

Secondo l’indagine dell’Enea intitolata “Il tempo dello Smart Working. La Pa tra conciliazione, valorizzazione del lavoro e dell’ambiente”, l’adozione su vasta scala del lavoro agile da un lato ha ridotto traffico, inquinamento e uso della plastica, dall’altro ha portato risparmio energetico, miglioramento della qualità del lavoro e sostenibilità urbana. Lo studio rivela, pertanto, che lo smart working, laddove praticabile, possa essere considerato il modello ideale di lavoro nei siti Patrimonio dell’umanità.Con la fine dell’emergenza Covid-19 e in assenza di un obbligo legale per concedere lo smart working a specifiche categorie di lavoratori, dall’01/04/2024 l’accesso al lavoro agile è tornato a essere subordinato a un accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente. Tuttavia, poiché non si possono ignorare le criticità di tale forma di espletamento dell’attività lavorativa, date dal senso di isolamento e dallo stress derivante dall’uso intenso delle tecnologie digitali (tecnostress), si deve concludere che oltre allo smart working sarà necessario applicare estesamente gli strumenti che dovranno dare attuazione agli interventi normativi dell’Ue, come la direttiva 2022/2464 (Csdr) sulla diligenza e obblighi delle grandi società in relazione agli impatti ambientali e sui diritti umani, il regolamento delegato 2023/2772 che introduce 12 gruppi di standard di sostenibilità (Esrs), e il Green Deal Europeo che mira alla neutralità climatica entro il 2050.

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