Sangiuliano, l’ultima gaffe dell’ex ministro

Di Agatino Cariola / 08 Settembre 2024

Che Sangiuliano abbandonasse prima o poi l’incarico di ministro della Cultura stava nelle cose; della vicenda – non nuova nelle esperienze di tanti altri Paesi – tra poco se ne avrà una memoria sfocata. Ma due passaggi della lettera di dimissioni del ministro sono assai rilevanti e vanno considerati, perché attengono al piano istituzionale, cioè a quello che riguarda tutti noi a prescindere dal tempo e dalle appartenenze politiche (talvolta – ma non è il caso di Sangiuliano – piuttosto fluide).
La prima espressione infelice è quella in cui Sangiuliano si proclama fiero per essere stato in un gruppo che sta «facendo grandi cose, e lo dico come comunità politica e umana alla quale mi sento di appartenere». A quale comunità si riferisce Sangiuliano? L’impressione è che si consideri solo la sua compagine politica e niente affatto l’intera comunità italiana. Ora, che un ministro sia nominato dal partito che vince le elezioni è parte fondamentale dell’assetto costituzionale, ma quando poi svolge le sue funzioni un ministro – come un presidente della Repubblica, un capo del governo, un sindaco, un qualsiasi impiegato pubblico – è al servizio esclusivo della Nazione, cioè di tutta la comunità politica, comprese coloro di opposta estrazione partitica e quei cittadini – oggi sempre più numerosi – che non vanno a votare. Un ministro è di tutti, non si iscrive o non fa parte di cerchi magici. Dietro il problema del linguaggio si nasconde la concezione che si ha. Non può non avvertirsi che Sangiuliano si è scusato con il presidente del Consiglio e con la moglie. Possibile che non gli sia passato in mente di scusarsi con gli italiani tutti?
Ancora più grave è l’affermazione di aver organizzato «per la prima volta in Italia … grandi mostre su autori personaggi storici che la sinistra aveva ignorato per ragioni ideologiche». Insomma, il ministro Sangiuliano si è intestato il merito di aver promosso autori in precedenza trascurati perché ostracizzati dalla sinistra ideologica.

Qui si perviene al problema di cosa intendere per cultura, specie per la cultura che segna l’identità nazionale. Sangiuliano rivela una dimensione tutta appropriativa delle funzioni ministeriali secondo la quale chi vince le elezioni si prende tutto. Ma così la cultura si trasforma in propaganda.
No, dott. Sangiuliano, cultura non è appropriazione. Cultura è al tempo stesso preservazione del patrimonio artistico, letterario, scientifico, ecc., e promozione dell’innovazione nei più diversi campi. Si tutela e si promuove al tempo stesso il bagaglio ideologico-culturale di sinistra, ma anche quello di ispirazione conservatrice e il patrimonio di derivazione cattolica dal quale, poi, alla fine hanno attinto tutti.
Che la sinistra al potere abbia esercitato un’egemonia culturale nelle scuole e nell’università, nelle arti e nel cinema, è vero. Ma questo non significa che a parti inverse lo debba fare la destra al governo: anzi si dia il segnale che il modello fin qui usato era sbagliato. Si abbandoni Gramsci – lo diciamo al nuovo ministro Giuli – e la sua nozione di egemonia culturale come potere. Si riscriva il metodo di finanziare le iniziative culturali e si mostri che l’azione pubblica è imparziale, cioè sostiene tutti, e difende a trecentosessanta gradi il pluralismo culturale di questo Paese.

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Pubblicato da:
Carmela Marino