da problema e risorsa
Riuso della cenere vulcanica: esempio di economia circolare, ma il progetto richiede tempo
Un problema ormai all'ordine del giorno per gran parte dei residenti della provincia di Catania
Una pioggia di cenere vulcanica ha coperto Catania e molte città etnee a più riprese in quest’estate. Puntualmente, si torna a parlare della possibilità di utilizzare “la terra dell’Etna”, così comunemente chiamata, come risorsa economica anziché smaltirla come rifiuto municipale piroclastico. È molto più di una semplice idea, perché ci sono studi a supporto; mancano però ancora molti tasselli del mosaico per avviare una vera e propria progettualità di economia circolare.
Le evidenze
Partiamo dalle evidenze. Ve ne sono tante sul possibile riutilizzo della cenere vulcanica in agricoltura come fertilizzante (lo studio di Mario Pagliaro del CNR di Palermo) e nell’edilizia come materiale o semilavorato con vari impieghi. Con i suoi studi l’Università di Catania è in prima linea; alcune ricerche – come il progetto Reucet, finanziato dal Ministero dell’Ambiente – hanno prodotto risultati incoraggianti.Proprio l’Ateneo etneo ha avuto un ruolo importante nella stesura delle linee guida per la raccolta, detenzione e utilizzo delle ceneri vulcaniche, recepite dal decreto regionale dell’Assessorato dell’Energia n.8 del 22 febbraio 2024. Non sono ancora trascorsi i sei mesi di fase transitoria entro la quale i Comuni dovranno comunicare i quantitativi di cenere “potenzialmente idonea” depositatasi nel corso di precedenti eventi eruttivi. Pertanto, non si è ancora proceduto alla prima formazione dell’albo dei soggetti con capacità tecnica ed economica e la volontà di utilizzare, al posto di altre materie prime all’interno dei cicli produttivi, le ceneri vulcaniche temporaneamente stoccate in apposite aree comunali.Qui entrano in gioco le questioni economico-aziendali.
Il mercato del riuso
Ad oggi non c’è un vero mercato per il riuso. Non c’è domanda e non c’è offerta, o quanto meno sono pochi i potenziali richiedenti cenere vulcanica utilizzabile come materia prima di qualità, non contaminata e sostenibile (domanda); non tutte le imprese di costruzione e i produttori di materiali edili sono tecnicamente organizzati per renderla a quelle condizioni disponibile, anche logisticamente, ad altri operatori economici (offerta).I modelli produttivi prevalenti sono altri. Ad esempio, anche per motivi di resa, le imprese edili preferiscono tuttora impiegare il cemento Portland nel calcestruzzo e nelle malte cementizie, alimentando così la richiesta di quel prodotto.Altro aspetto non irrilevante è la continuità dei processi. Come si fa a produrre su larga scala ceneri e lapilli come materiali nei cicli produttivi, quando le emissioni di sostanze piroclastiche sono per definizione irregolari? O si dovrebbe, paradossalmente, chiedere a “Mamma Etna” di essere più continua nella espulsione di cenere vulcanica dalle sue bocche?Diventa pertanto fondamentale lo stoccaggio di quanto prontamente raccolto. Aree comunali individuate per la conservazione temporanea delle ceneri, fintanto che queste non saranno controllate e utilizzate, sono una buona soluzione, in realtà sub-ottimale rispetto al problema.La pioggia di cenere è questione di vasta area ed interessa tutto il comprensorio etneo. Su una scala territoriale più ampia è necessario il coordinamento di tutti i principali soggetti in campo, a cominciare dai Comuni che sono i primi ad attivare le costose operazioni di pulizia, raccolta e smaltimento per rendere strade, piazze e luoghi pubblici fruibili e sicuri.Attraverso lo strumento della conferenza di servizi, andrebbe creata una cabina di regia rappresentativa delle varie istituzioni pubbliche, in primis la Prefettura di Catania che non può rimanere estranea rispetto a queste calamità.
Usare le cave dismesse
Infine – ci suggerisce lo studioso internazionale di vulcanologia Salvo Caffo, già dirigente del Parco dell’Etna – sarebbe auspicabile individuare alcune cave dismesse in zona etnea, acquisirle al patrimonio pubblico ed utilizzarle come mega centri di raccolta della cenere vulcanica raccolta il più in fretta possibile dai Comuni.In questa maniera, con pochi grandi “magazzini” di stoccaggio, a norma e sicuri, il materiale raccolto sarebbe studiato e controllato su campioni più ampi, i flussi produttivi sarebbero ottimizzati e si potrebbe armonizzare meglio la dinamica di domanda e offerta all’interno di un nuovo mercato, consentendovi l’accesso solo ad operatori con precisi requisiti tecnico-economici.Basterebbe anche una “leggina” all’Ars per il recupero di cave dismesse o ex discariche ricadenti in zone D, C e B del Parco dell’Etna e si creerebbe un unico grande sito produttivo di cenere vulcanica.
*giornalista pubblicista, professore di Management all’Università di CataniaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA