Rendere più attrattivo il mondo accademico: costruire l’Università del futuro secondo una logica generativa

Di Rosario Faraci* / 12 Ottobre 2024

Ricordate le tre “i” pensate nel 2003 nel secondo governo Berlusconi per riformare la scuola, sotto la guida di Letizia Moratti, che aveva come base più internet (o più informatica), più impresa e più inglese? Sembra passato un secolo, invece, è trascorso poco più di un ventennio, senza che le intenzioni di quella riforma abbiano prodotto un significativo impatto nel sistema scolastico italiano. Nel frattempo, il mondo è andato incontro a rapidi cambiamenti che hanno rivoluzionato tanto l’informatica (e internet) quanto le imprese, rimettendo pure in discussione la centralità dell’inglese che adesso, per numero di parlanti madrelingua, è il terzo idioma al mondo dopo cinese e spagnolo.

Di tre “i” si parla in un recente libro, ma con tutt’altro significato, sicuramente assai più profondo, soprattutto senza pretesa alcuna di auspicare affrettate riforme del mondo dell’education, magari dettate da tatticismi elettorali. Le tre “i” sono in questo caso interdisciplinarità, internazionalizzazione e innovazione per preparare studentesse e studenti ad affrontare le sfide complesse e discontinue del futuro. A ciascuna delle tre “i” è dedicato un capitolo del libro “Università Generativa” (Il Mulino, 2024) scritto da Andrea Prencipe, professore di Organizzazione ed Innovazione, già Rettore della Luiss negli ultimi sei anni.

Conosciamo bene il prof. Prencipe, collega molto colto e persona assai sensibile. Lo appassionano, e in questo ci lega un comune interesse, gli scritti di Italo Calvino, di cui lo scorso anno ricorreva il centenario dalla nascita. Calvino, le cui opere principali ma anche le sue Lezioni americane, andrebbero rilette soprattutto oggi, in epoca di intelligenza artificiale. Intelligenza, anzi intelligenze, di cui molti parlano e disquisiscono, ma pochi sono quelli che la impiegano, e ancor meno quelli che la usano “intelligentemente”.
Il libro di Andrea Prencipe è una sorta di manifesto della cosiddetta Università Generativa. Un’istituzione – sono le parole usate dal suo autore – che “partendo da regole semplici, crea in varie forme conoscenza, innovazione e impatto positivo nella società. L’idea di università generativa include diversi concetti e contempla varie dimensioni e traiettorie”. Se la missione è generativa, universale ed unica superando ogni distinzione fra prima, seconda e terza, l’Università si fonda sui concetti di engagement e di educability.

Di engagement inteso come sintesi di scambio relazionale, tra entità che si riconoscono come interdipendenti, ad esempio docenti e discenti, oppure l’intera comunità accademica e il territorio. Ma pure di educability, che è la disposizione di una persona ad apprendere e acquisire nuove conoscenze e competenze. Un concetto, quest’ultimo, che è complementare all’ employability, ovvero alla capacità di una persona di trovare, mantenere e avanzare in un’occupazione.

Non vogliamo aggiungere altro, sennò finiremmo per anticipare tutti i contenuti salienti del libro del prof. Prencipe, di cui è raccomandata la lettura a tutti quelli che amano l’istituzione universitaria e ne hanno a cuore le sorti.
Ci sono cambiamenti in atto che accadono ad una velocità incredibile. Lo abbiamo visto con la pandemia da Covid-19 e di recente con l’avvento dell’intelligenza artificiale. Non si possono inseguire i cambiamenti, non è questo il compito dell’Università. Ma non si possono nemmeno ignorare o, peggio ancora, mettere in atto strategie di contrasto.
Studenti e studentesse – di ogni età e nazionalità – vanno educati al sapere e al saper fare, ma pure al saper essere e al saper diventare. Il cambiamento va governato, sembra suggerire il libro di Prencipe; del resto, questa è un’indicazione in linea con il pensiero di chi come lui ha sempre studiato i processi di innovazione delle imprese e i connessi aspetti organizzativi.

Per far ciò, l’Università deve educare all’antifragilità; al saper imparare, ma anche disimparare; a de-costruire e poi ricomporre. Ma soprattutto deve allenare studenti e studentesse a porsi problemi e a formulare domande, non a cercare subito risposte. Proprio come dovrebbe avvenire con la ricerca scientifica.

Questa da sempre è la funzione degli Atenei nel mondo. Invece, nel nostro Paese, sono stati ormai declassati nell’immaginario collettivo, nelle utilità delle famiglie e nelle convenienze della classe politica, ad esamifici, a palinsesti di lezioni, a trasmettitori di conoscenza autoreferenziale. Anche a stipendifici.
Forse un po’ di colpa è anche di noi docenti.

*giornalista pubblicista, insegna Principi di Management e Business Model Innovation all’Università degli Studi di Catania

Pubblicato da:
Fabio Russello