Il commento
Renato il moderato nella strana isola del bipopulismo
L'ex presidente del Senato, oggi presidente della Regione siciliana, è quanto di più lontano ci possa essere dalla nouvelle droite di Giorgia Meloni
Mentre il vorticoso tornado di destra – molto più di un semplice vento – spinge il Paese nel grembo meloniano, la Sicilia mostra un senso di isolitudine autonomista. Certo, gli elettori hanno scelto, con nitida chiarezza, Renato Schifani, un presidente della Regione di centrodestra. In continuità con l’uscente Nello Musumeci, ma soprattutto nella stessa congiuntura politico-astrale che vedrà la coalizione al governo nazionale con numeri blindati.
Eppure – primo elemento di distinzione – l’ex presidente del Senato è quanto di più lontano ci possa essere dalla nouvelle droite di Giorgia Meloni. Tanto misurato da apparire ingessato, dai toni bassi e felpati, il neo-governatore è distante anni luce dal Garbatella-style della prossima inquilina di Palazzo Chigi. Renato il Moderato si troverà adesso a governare una terra caratterizzata – seconda diversità, più marcata – da un doppio moto populista. Il primo è legato al rinculo orgoglioso del M5S, prima forza in Sicilia alle Politiche. Il secondo è racchiuso nel “fattore C”. Come Cateno (De Luca), che, pur sconfitto da Schifani, è l’altro vincitore morale di questo election day.
Adesso Schifani, perfetto epigono della salottocrazia palermitana e romana, si trova a essere il contraltare – e anche l’anticorpo – del bipopulismo alla siciliana. Tenendo conto di un dato: piaccia o non piaccia, i voti di M5S e De Luca (diversamente distribuiti fra Politiche e Regionali) rappresentano 4 siciliani su 10. Il neo-governatore, mentre nel Paese Fratelli d’Italia sfonda il 26% (quasi tre volte rispetto a Lega e Forza Italia), guiderà una coalizione molto meno schiacciata a destra. Dai primi risultati dell’Ars, infatti, si conferma la tendenza delle Politiche: la lista di FdI è la prima del centrodestra, ma con quasi dieci punti in meno della media nazionale. In Sicilia, con la Lega che si attesta sopra il 6%, c’è Forza Italia abbondantemente in doppia cifra, ma ci sono anche la Nuova Dc di e gli Autonomisti ben oltre la soglia di sopravvivenza, che entrano a Sala d’Ercole in barba ai “gufi” demoscopici esorcizzati da Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. Un centrodestra dall’anima moderata, molto diverso dal destra-centro a trazione meloniana. Schifani dovrà essere il leader politico di questa coalizione, evitando di ripetere gli errori di Musumeci senza però cedere ai ricatti aborriti dal suo predecessore. Un equilibrio complicatissimo, fra dialogo (torneranno i rimpianti vertici di maggioranza) e autonomia decisionale. La prima prova del fuoco sarà la scelta degli assessori.
Schifani governerà un’Isola che, nell’eleggerlo, gli ha lanciato due messaggi inequivocabili. Il primo è il disagio sociale (misto a una certa percentuale d’indolente salottitudine) del popolo del reddito di cittadinanza. Il M5S sfiora il 30% alle Politiche, dimezzando però i consensi alle Regionali, con Nuccio Di Paola e con la lista addirittura con meno voti del candidato governatore. Ma i grillini sono riusciti a interpretare i bisogni della pancia più viscerale dei quartieri popolari, cosa che il Pd (disastroso il risultato di Caterina Chinnici e soprattutto del partito: resa dei conti a breve) non è riuscito a fare. Non ci ha provato neppure. Inutile fare sommatorie dei voti degli ex alleati del campo largo diventato camposanto, né rimuginare sulle chance di un candidato unico, magari un grillino identitario, molto più competitivo contro Schifani e De Luca. E il neo-governatore non può neppure sottovalutare il secondo segnale: De Luca. Che, dal nulla, ha creato un movimento capace di spingerlo fino alle porte di Palazzo d’Orléans, eleggendo una truppa di deputati regionali e persino due parlamentari a Roma. Schifani, per una legittima strategia di campagna elettorale, non ha degnato “Scateno” nemmeno di un confronto. Ora, piuttosto che seguire i consigli dei Moggi del centrodestra (già pronti alla campagna acquisti fra i deputati di Sud chiama Nord), il presidente della Regione dovrebbe invece aprire, nel rispetto dei ruoli, un dialogo istituzionale con lo sguaiato candidato miglior perdente. Che ha conquistato la fiducia di quasi un terzo dei siciliani dichiarando guerra alla «banda bassotti dei politicanti siciliani». Ma che adesso, dovendo passare dai “vaffa” qualunquisti al ruolo di potenziale leader delle opposizioni, è pure lui chiamato a una sfida altrettanto difficile. Quella della maturità politica. Twitter: @MarioBarresi COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA