verso l'otto marzo
Quote rosa anche nelle imprese? Luci e ancora ombre nel Belpaese
Nel Global Gender Gap Report 2023 predisposto ogni anno dal World Economic Forum l’Italia si trova al 79° posto su 146 Paesi esaminati. In Europa è in fondo alla classifica, nelle ultime sette posizioni
Nel Global Gender Gap Report 2023 predisposto ogni anno dal World Economic Forum l’Italia si trova al 79° posto su 146 Paesi esaminati. In Europa è in fondo alla classifica, nelle ultime sette posizioni. Rispetto alla rilevazione precedente (2022), il Paese ha perduto ben sedici posizioni nell’indice globale di gender gap. A sua volta, l’indicatore aggregato si può “spacchettare” in una serie di ulteriori indici parziali di gender gap. Nell’indice “partecipazione e opportunità economiche”, l’Italia è addirittura al 104° posto, per via di piazzamenti non proprio onorevoli alle seguenti voci: partecipazione delle donne al mercato del lavoro (93° posto), parità salariale per lavori identici (80°), reddito da lavoro stimato (107°), professioni STEM (86°) e posizioni apicali nelle aziende (100°).
A proposito di quest’ultimo sotto-indicatore, con l’aiuto di una banca dati economico-finanziaria accesa presso l’Università di Catania abbiamo voluto riscontrare quante donne in Sicilia ricoprono ruoli di governance nelle 163 imprese di grandi dimensioni, quelle con fatturato superiore ai 50 milioni di euro. Sono 242 posizioni apicali in tutto, con un’età media femminile di 53 anni. In confronto, gli uomini “nei posti che contano” sono 1.197. Il rapporto è di 5 a 1, eccessivamente sbilanciato in favore del sesso maschile.
Secondo il Global Gender Gap Report, in Italia le imprese con maggioranza azionaria femminile sono l’11,50% del totale; quelle con donne top managers rappresentano il 15,30%. Per avere un termine di paragone, in Francia, i corrispondenti valori percentuali sono rispettivamente 15,50% e 19,90%; ma rispetto ad altri Paesi, l’Italia non è detto che sfiguri nelle metriche.Fin qui però abbiamo fatto riferimento alle grandi imprese. Se poi, in effetti, si considerasse l’intero universo aziendale, in base all’ultimo report di genere di Unioncamere, le imprese femminili sono 1,3 milioni e rappresentano il 22% del totale; nel 2014 erano 1,2 milioni, pari al 21%. C’è stata una crescita, ma sono ancora lontane dalla media europea (32%).Secondo uno studio del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, le start up innovative a conduzione femminile rappresentano il 13,7% del totale ed operano prevalentemente nei servizi (66,8%), in agricoltura, silvicoltura e pesca (15,4%) e nell’industria (11,3%).
Passando invece ad analizzare il lavoro femminile nelle imprese, esiste una differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello guadagnato dagli uomini. Secondo i dati elaborati dall’ultimo Osservatorio Inps sui lavoratori dipendenti del settore privato, la retribuzione media annua complessiva è di 22.839 euro; per il genere maschile è di 26.227 euro contro i 18.305 euro del genere femminile.
Dunque, in busta paga ci sono quasi 8mila euro l’anno in meno per le donne. Oltre il danno, si registra anche la beffa: il gender pay gap è addirittura in aumento rispetto al 2021 quando era pari a 7.908 euro, mentre nel 2022 è salito a 7.922. Mal comune, mezzo gaudio. Anche le donne nell’Ue continuano a guadagnare meno degli uomini, con un divario retributivo medio di genere che è pari al 13%. Questi dati sono di per sé sufficienti a dimostrare che di strada ve n’è parecchia da fare ancora in Italia. Secondo il più volte menzionato Global Gender Gap Report 2023, la parità in busta paga tra uomini e donne è prevista per il 2154. Si tratta di 131 anni a partire dal cedolino di dicembre 2023.
Il ritardo nel raggiungimento della uguaglianza di genere è un fatto sociale e di stereotipi culturali e pregiudizi, non è soltanto un tema normativo. Non è infatti con la sola previsione delle cosiddette “quota rosa” nelle imprese che si potrà colmare il gender gap nelle posizioni apicali. È necessario pure rimuovere le difficoltà di accesso al credito per le donne. Occorre pure puntare su programmi specialistici di leadership femminile e di promozione del networking. A Scuola e nelle Università, dove si educano e si formano i giovani, bisogna investire fortemente nella cultura della parità di genere che, per fortuna, la Generazione Z è già pronta a recepire.
Ad esempio, nel corso di Principi di Management appena iniziato in questo semestre, dedicheremo oggi una lezione sul confronto fra leadership maschile e leadership femminile nelle aziende. A parti invertite e con “gli occhi degli altri”, a discutere la prima saranno le ragazze; mentre la seconda sarà affrontata dai ragazzi. Ci prepariamo così alla giornata dell’8 marzo.
*Professore di Management all’Università degli Studi di Catania e giornalista pubblicistaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA