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Quali tempi per una difesa Ue efficace

Collaborando, possiamo essere meglio preparati e ottimizzare la spesa. Finora sono stati fatti diversi tentativi, ma l’Europa non dispone di risorse proprie, poiché dipende dai finanziamenti degli Stati membri. Una svolta si potrebbe avere solo nel momento in cui l’Unione iniziasse a contrarre debito per creare strumenti di finanziamento destinati alla difesa

Di Giuseppe Cossiga* |

Pensare che l’Europa oggi possa assicurare la propria difesa prescindendo dalla Nato è irrealistico. Non servono solo finanziamenti – almeno 400 miliardi all’anno a livello europeo, di cui 50 miliardi per l’Italia – ma anche tempo, tra i tre e i cinque anni.Si tende spesso a confondere i concetti di “esercito europeo” e “difesa europea”. Se per esercito intendiamo lo strumento di cui uno Stato si dota per proteggere i propri cittadini, questa soluzione in Europa, per ora, non è percorribile. Per avere un esercito comune sarebbe necessario non solo impiegare le stesse armi e unificare il comando, ma anche condividere un indirizzo politico comune. Tuttavia, l’Ue non è ancora un soggetto politico vero e proprio, quindi un simile traguardo appare lontano.

Diverso è il discorso della difesa europea. Essendo parte di un’Unione, possiamo operare in modo più efficiente per garantire la sicurezza ai nostri cittadini. Collaborando, possiamo essere meglio preparati e ottimizzare la spesa. Finora sono stati fatti diversi tentativi, ma l’Europa non dispone di risorse proprie, poiché dipende dai finanziamenti degli Stati membri. Una svolta si potrebbe avere solo nel momento in cui l’Unione iniziasse a contrarre debito per creare strumenti di finanziamento destinati alla difesa.Quando si parla di spese per la difesa, occorre poi essere pragmatici. La Nato esiste da 75 anni e 23 Paesi dell’Ue ne fanno parte. Attualmente, l’Europa spende complessivamente 330 miliardi all’anno per la difesa, circa il 2% del Pil, mentre gli Stati Uniti ne investono 850 miliardi. Secondo le valutazioni di Donald Trump, l’Europa dovrebbe aumentare la spesa fino al 5% del Pil, il che significherebbe stanziare almeno altri 400 miliardi. Questa somma servirebbe in parte per incrementare il numero dei soldati e in parte per equipaggiarli meglio.

Un altro problema riguarda la frammentazione dell’industria bellica europea. Oggi vengono sviluppati numerosi modelli diversi di armamenti, il che moltiplica i costi. Se un carro armato ha un costo “x”, svilupparne dieci modelli differenti significa decuplicare la spesa. Le aziende del settore sono pronte a un cambio di passo, ma il divario tecnologico con gli Stati Uniti non si colma in un anno. L’Europa non dispone di un’infrastruttura come Starlink, ha una flotta di rifornimento aereo inferiore rispetto a quella americana e non ha sufficienti aerei radar. Anche raddoppiando immediatamente gli investimenti, servirebbe comunque tempo per produrre le risorse necessarie.

L’industria della difesa ha dinamiche peculiari. Se un’azienda ha sempre prodotto 100 missili all’anno per l’Italia e 100 per l’estero, non sarà immediatamente in grado di fornirne 2.000. L’ampliamento della produzione richiede autorizzazioni e procedure complesse. L’industria europea non sarebbe in grado di soddisfare un aumento improvviso della domanda. Trump lo sa bene: quando esorta l’Europa a spendere di più in difesa, è consapevole che non potremmo produrre tutto internamente e finiremmo per acquistare dagli Usa.

L’industria italiana, in alcuni settori di eccellenza – come Leonardo – è ben posizionata, ma anche noi non siamo abituati a un certo livello produttivo. Servirebbero dai tre ai cinque anni per adattarsi a un aumento della spesa per la difesa, considerando anche la complessità delle filiere industriali. Per costruire missili, ad esempio, servono motori, esplosivi e materie prime, il che comporta tempi di produzione dilatati.Oggi, circa il 50% della spesa per la difesa europea è destinata all’acquisto di forniture dagli Stati Uniti, mentre il restante è coperto da industrie europee, con piccole quote provenienti da Israele e Corea del Sud.

L’ipotesi di inviare militari europei in Ucraina appare irrealistica. Considerando le dimensioni del fronte e le necessità logistiche, anche impiegando tutti gli eserciti europei, a malapena si riuscirebbe a raggiungere l’obiettivo. L’Europa non ha satelliti adeguati, non dispone di droni ad alta quota in quantità sufficiente e non ha le capacità logistiche per supportare un impegno del genere. Inoltre, se servissero 200mila soldati sul campo, bisognerebbe averne almeno il triplo per garantire i turni di rotazione.

A tutto questo si aggiunge un problema culturale e politico. In Italia manca ancora una consapevolezza diffusa dell’importanza di rafforzare la difesa. Questo ostacolo si riflette anche nelle decisioni politiche. Parlare di difesa e di armi in Italia è impopolare. Molti, indipendentemente dall’orientamento politico, ritengono che un governo non debba investire in armamenti. Ma la domanda che dovremmo porci è un’altra: i cittadini italiani vorrebbero poliziotti senza pistole, chirurghi senza bisturi o farmacie senza medicine? Nel mondo esistono le malattie e i malintenzionati. Ci piacerebbe che non fosse così, ma la realtà è un’altra. E dobbiamo essere in grado di difenderci.

*Presidente AiadFederazione aziende di aerospazio e difesaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA