Era scontato che il principale avversario di Putin, il dissidente Navalny dovesse fare questa fine, la stessa che hanno fatto altri oppositori del dittatore russo.
Navalny sapeva che non aveva scampo. Non ha mai voluto accettare l’esilio perché riteneva di dovere a qualunque costo portare avanti la sua battaglia per la libertà. Voleva rimanere vicino ai suoi compagni di lotta, nonostante molti governi gli offrissero protezione, solidarietà. Ancora una volta, il dittatore russo ha commissionato un delitto politico per piegare la resistenza di un oppositore, il più fiero e determinato di tutti. L’hanno chiuso in un gulag, condannato a trent’anni di carcere. Medici di regime certificheranno, come hanno fatto in altri casi , una malattia incurabile come causa della morte. Anche la tempistica del delitto è rivelatrice dell’obbiettivo politico perseguito. Si è alla vigilia di una campagna elettorale che probabilmente avrebbe provocato dimostrazioni di piazza contro Putin. Da sempre, del resto, le elezioni gestite da Putin sono state una messinscena. Insomma, tutto era prevedibile, tranne il modo come il delitto sarebbe stato eseguito.
L’indignazione della comunità internazionale di fronte a questo ennesimo delitto politico deciso dal dittatore russo è stata unanime. Ormai da tempo Putin viene ritenuto, non solo in Occidente, come il male assoluto da contrastare attraverso ogni forma possibile di isolamento.
Ha fatto bene Mattarella a dichiarare senza alcuna indulgenza diplomatica che la Russia ormai è tornata ai tempi bui. Il regime ritiene il delitto politico come la più efficace forma di stabilizzazione del potere. Putin, inoltre, continua a svolgere una pervasiva azione di inquinamento della vita politica degli Stati occidentali, attraverso un’opera di disinformazione tendente a rendere vulnerabili, screditati i sistemi democratici ovunque sia possibile farlo, soprattutto in occasione delle campagne elettorali. Può contare a questo fine su una rete di emissari ben sperimentata, considerata l’attività svolta per tanti anni nel potente Kgb, ai tempi dell’impero sovietico.
Oggi contro Putin sono scesi in campo tutti i leader occidentali, che hanno espresso solidarietà alla famiglia del dissidente e alle migliaia di persone che hanno reso omaggio silenzioso a Navalny. Molte di esse sono state arrestate. Adesso il regime sarà ancora più oppressivo. E sarà ancora piu intensa l’azione da esso svolta contro l’Europa per rendere più difficile il rilancio del processo di integrazione, potendo contare su movimenti sovranisti da tempo al soldo di Mosca. È significativo che di fronte all’indignazione unanime sul caso Navalny, si siano levate voci perplesse, anche in Italia, con riferimento alla dinamica del delitto. Tanti putiniani italiani si interrogano ipocritamente sulle cause della morte del dissidente. Taluni addirittura ostentano scrupoli garantisti per evitare ingiuste accuse al regime russo. È vergognoso che tutto ciò sia tollerato, trattandosi di ambienti politici che sono notoriamente organici al partito di Putin, Russia Unita. Organizzazioni che operano alla luce del sole contro l’interesse nazionale.
Sono diverse le ragioni che mobilitano i putiniani d’Italia. Alcuni subiscono la fascinazione prodotta dal ruolo che lo “zar“ rivendica nel contesto internazionale presentandosi come il campione dell’antiamericanismo. Altri sono coinvolti in trame affaristiche. In ogni caso si tratta di fatti inquietanti. Di servigi prestati a un Paese straniero nemico dello Stato di diritto e della legalità internazionale: l’elenco dei delitti politici compiuti da Putin è un elenco molto lungo. Putin ha cercato di far uccidere Navalny. In più occasioni. Si trattava d liquidare una volta per tutte l’oppositore più duro. Ma ha fatto uccidere anche numerosi esponenti della società civile che testimoniavano la propria fede nella democrazia, giornalisti, e anche vecchi sodali politici che intralciavano i suoi piani.
Navalny incoraggiava i giornalisti a indagare fino in fondo sull’universo politico e affaristico di Putin. Insomma, rappresentava una spina nel fianco per il dittatore russo, che ha deciso di farlo uccidere pur essendo consapevole delle reazioni che si sarebbero avute a livello internazionale. Si trattava di un avversario diventato troppo pericoloso anche per la grande considerazione di cui godeva in tutto il mondo.
Adesso con la fine di Navalny in Russia vince il terrore. L’impunità del leader è fuori discussione, considerato che nessuno è stato mai incriminato per i delitti ascrivibili a Putin. Si tratta di oltre 20 omicidi politici, di una carriera criminale che comincia nel 2004 con l’ascesa al potere di Putin. Pare difficile che l’opposizione possa riprendere vigore dopo questo evento.
Putin per rimediare all’isolamento in cui sarà costretto all’interno della comunità internazionale potrebbe confidare nella vittoria di Trump, ritenendo che il suo ritorno al potere potrebbe essere vantaggioso per le mire imperialistiche del regime russo, che aspira a ripristinare un sistema basato su un’Europa divisa in due ,così com’era il tempo della guerra fredda.
Salvo Andò, costituzionalista, è presidente nazionale di Lab Dem