Finora ho preferito evitare commenti su una vicenda che mi ha molto amareggiata, ritenendo che il silenzio, di fronte a parole tanto inopportune, fosse la scelta più sensata. Quando, però, si supera il limite e si arriva, forse paradossalmente con fini opposti, a commenti inappropriati che scadono nella ridicolizzazione è, secondo me, impossibile non replicare. Quel che allarma innanzitutto è che sembra si sia smarrito ormai qualunque senso del pudore e del rispetto prima di tutto dei propri sentimenti (che si sostiene essere stati autentici), poi della vita e della sfera intima di persone che, purtroppo, non ci sono più, non possono più esprimersi su episodi veri o presunti che siano e che – ne sono certa – avrebbero vissuto questa violazione del privato come un’offesa profonda. Quanto al commento ospitato dal vostro giornale, del quale non riesco bene neppure a comprendere il senso – forse voleva essere una critica al libro della dottoressa Boccassini, ma anche leggendolo più volte non è chiaro – mi pare si sia superato il limite. Questo immaginare scenette da sit-com di basso livello, questo descrivere due persone, che hanno fatto della compostezza e della riservatezza regole di vita e che sono state uccise per difendere la democrazia nel nostro Paese, come ridicoli protagonisti di un romanzetto di quart’ordine è vergognoso. In nome della libertà di espressione del pensiero non si può calpestare la memoria di chi non c’è più e la sensibilità di chi è rimasto e ogni giorno deve confrontarsi con un dolore che non può passare.
Di fronte ai sentimenti – dolore, rabbia, sconcerto – di Maria Falcone e di tutte le vittime della violenza mafiosa non ci sono mai risposte da dare, ma solo rispettoso silenzio, oltre alla ovvia precisazione che in questo caso nessuno – neanche un autore dai toni pulp e provocatoriamente sempre sopra le righe qual è Ottavio Cappellani, nella sua settimanale rubrica satirica ospitata da La Sicilia – voleva offendere la memoria di eroi di questo martoriato Paese. Poi è giusto chiedersi quale debba essere il confine della satira. Se questa volta si ritiene lo si sia superato, urtando la sensibilità altrui, i primi a dispiacercene siamo noi.*