Mamme in redazione/1: le mille acrobazie tra cronaca e pannolini

Di Laura Distefano / 12 Maggio 2024

Mi avevano detto che quando sarei diventata mamma avrei smesso di avere l’adrenalina da blitz. Non è accaduto. Quel fuoco non si è spento. Anzi. Se mai fosse possibile è diventato più ardente. Sono innamorata di questo mestiere. Che per me è qualcosa che va oltre una professione. Semplicemente è una parte di me. Conciliare tutto è complicato. Acrobatico, direi. Perché il mio non è un lavoro d’ufficio, timbri il cartellino e torni a casa. La cronaca giudiziaria, così come la nera, non ha l’orologio.

Ricordo quando con una mano annacavo il mio piccolo per farlo addormentare e con l’altra scrivevo il pezzo dell’ultim’ora. O le passeggiate avvolta dal suo odore, il più bello del mondo, mentre con le cuffiette parlavo con qualche fonte che al telefono – giustamente – era restia a raccontarmi tutto. E io riuscivo a strappare quel particolare in più che doveva “fare la differenza”. E quante volte ho cambiato i piani di un’intera famiglia, perché non ho nonni o zii che possano accudire mio figlio. E in fretta e furia si prendeva la macchina per una sentenza, per andare sulla scena di un omicidio, per prendere le carte di un’inchiesta. Il piccolo sul seggiolino a sgranare gli occhi mentre vedeva la mamma correre, con il computer nelle mani e il telefonino nell’altra.

Sensi di colpa

Lo ammetto, mi sento in colpa un giorno sì e l’altro pure. Perché pensi sempre che stai togliendo a lui per dare al tuo lavoro. Un lavoro per cui devo faticare il triplo rispetto agli altri. Devo organizzarmi con l’asilo, i turni.

Da qualche settimana abbiamo abbandonato il pannolino. E ho capito che per me è più facile recuperare i verbali di un pentito top secret che inseguire mio figlio mentre fa la pipì in giro per casa. Una vita a correre. A dover dimostrare. Sempre. Prima perché sono donna, e in aggiunta ora sono anche mamma. Da un’aula di tribunale all’altra. Da una piazza di spaccio all’altra. Una notte con i Lupi dei Carabinieri. E un’altra con i Falchi della polizia. Non ho paura di firmare inchieste e raccontare orrori. Non ho paura delle denunce dei killer dal 41bis. Non ho paura delle minacce. Quelle fanno parte del “mestiere”. Forse sono anche la prova, che qualcosa di giusto la sto facendo.

Quando però vedo sullo schermo del mio cellulare “asilo” comincio a tremare. Perché alla fine un figlio è “tutto”. E divento una mamma in tilt.

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo