L’indipendenza della magistratura, l’espansionismo giudiziario e le riforme politiche

Di Salvo Andò / 29 Gennaio 2023

Ha fatto bene Mattarella, di fronte alle polemiche prodotte dalle riforme della giustizia annunciate da Nordio, a ribadire, che «l’indipendenza della magistratura è un pilastro della nostra democrazia».

Le riforme della giustizia non possono incoraggiare derive che risultino in qualche modo lesive dei principi della Costituzione. E i conflitti tra politica e giustizia non possono essere risolti «collocando la giustizia sotto il controllo della politica». Si tratta di opinioni che chi ha a cuore la tenuta dello Stato di diritto non può non condividere.

E, tuttavia, pare indubbio che nella storia più recente i conflitti tra i poteri dello Stato siano cresciuti di intensità, oltre che di numero. E pare anche indubbio che tale conflittualità sia stata prodotta soprattutto da un espansionismo giudiziario che talvolta si è espresso in forme particolarmente aggressive.

Molte volte i presidenti della Repubblica  hanno dovuto arginare iniziative prese dal Csm che disconoscevano le prerogative del Capo dello Stato in quanto presidente del Csm. 

Si sono avuti dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sollevati dai Presidenti della Repubblica nei confronti di alcuni uffici giudiziari, allo scopo di ristabilire la legalità costituzionale che si riteneva violata. In sostanza, alla base di questi conflitti c'era il tentativo di ridisegnare i rapporti tra le istituzioni giudiziarie e quella presidenziale, e quindi la stessa forma di governo.

La causa scatenante del conflitto spesso era costituita dal tentativo del Csm di ridimensionare di fatto il ruolo del Presidente della Repubblica come presidente del Csm. Man mano che il ruolo della magistratura associata cresceva e la presa di essa sul Csm diventava sempre più significativa, al punto da far apparire il Csm come braccio armato dell’Anm, era inevitabile che i conflitti tra i magistrati e il Colle crescessero.

Questa conflittualità scaturiva dalla pretesa esercitata dalla corporazione giudiziaria di dettare essa stessa le politiche della giustizia, o comunque di fermare le riforme  che non avessero una preventiva bollinatura da parte della magistratura associata.

Mattarella ha spiegato anche in questi giorni che è un grave errore delegittimare la magistratura e renderne, quindi, l’azione più difficile. Ha spiegato, con il consueto garbo, che il Csm uscente ha dovuto affrontare «una situazione assai complessa segnata da gravi episodi che l’hanno colpita». Non ha voluto dire di più, trattandosi di situazioni che sono di dominio pubblico. 

La complessità, il travaglio a cui ha fatto riferimento non poteva non produrre danni alla credibilità della magistratura, che nessuna forza politica responsabile dovrebbe essere interessata a strumentalizzare, in un Paese come il nostro in cui organizzazioni criminali e pratiche corruttive, che hanno un carattere sistemico in alcune realtà, la  fanno da padrone.

Insomma, istituzioni e cittadini devono essere fermamente convinti del fatto che il valore dell'indipendenza non possa essere messo in discussione. E però, non è accettabile e che qualunque rilievo mosso ad un magistrato, nel contesto di una costruttiva dialettica tra i poteri sia presentato come un attacco all’intera categoria, e quindi all’indipendenza.

Non può essere considerato un attacco all'indipendenza discutere di un errore giudiziario o di politicizzazione  delle toghe o di correntocrazia o di certi eccessi corporativi della  magistratura associata.

Non si può far passare come attacco all’indipendenza l’esercizio del diritto di critica su   tutto ciò che ha fare col mondo giudiziario. È sbagliato. Così come è sbagliato mettere il bavaglio ai magistrati allorché esprimono delle critiche su una scelta compiuta dal governo. 

Giovanni Falcone è stato messo in croce spesso dai suoi colleghi perché alcune sue proposte, fatte in occasione dei congressi della magistratura e mai sui giornali, che riguardavano soprattutto la professionalità da incrementare con ogni mezzo, non erano gradite alle correnti. Veniva perciò ingiustamente accusato di voler attentare all'indipendenza del sistema giudiziario.

L'idea che nel nome dell’indipendenza si possa compiere qualunque abuso senza essere censurati, ha creato un’aura di impunità intorno ai vertici dell’Anm che ha contribuito non poco all’affermarsi di quel “metodo Palamara” che tanti danni ha arrecato all’immagine della  giustizia italiana.

Ben vengano le riforme della giustizia che possano rafforzare lo stato di diritto in senso liberale, prevedendo dei presidi che consentano un processo effettivamente giusto, senza rendere più debole lo stato.  Fermarle, evocando rischi per l’indipendenza, è un errore.

L’indipendenza, insomma, non è un privilegio, né una conquista corporativa, ma una garanzia funzionale inderogabile. 

All’indipendenza può attentare la politica, cercando di esercitare indebiti controlli sui giudici, ma può attentare anche la stessa corporazione giudiziaria, smaniosa di affermare un protagonismo che inevitabilmente comporta una conflittualità permanente tra i poteri. 

Il messaggio di Mattarella pare rivolto ad entrambi le parti, mondo politico e mondo giudiziario, perché si astengano da atteggiamenti che inevitabilmente comportano destabilizzanti competizioni a cui magari fanno seguito imbarazzanti operazioni di scambio politico (Palamara docet! ), che comprensibilmente creano sconcerto nell'opinione pubblica, che esprime un'ansia di giustizia non sempre  soddisfatta.

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo
Tag: magistratura riforma della giustizia