politica
Le inammissibili reticenze sulle responsabilità dello squadrismo nero
Ha fatto bene il presidente Mattarella, in occasione del 50° anniversario della strage dell’Italicus a usare toni indignati di fronte alle titubanze della estrema destra sulla matrice fascista dell’attentato. Ha ribadito che si è trattato di una strage nera come tante altre, fornendo una spiegazione politica dello stragismo. Una lunga stagione politica che ha stravolto la vita del Paese.
Non pare dubbio che, in questo contesto, gli stragisti assecondassero il disegno di quanti ,anche dall’interno delle istituzioni ,volevano destabilizzare l’ordine democratico per favorire una svolta autoritaria. Si trattava di riportare indietro le lancette della storia ,rivendicando attraverso il ricorso alla violenza un protagonismo politico destinato a cancellare quella conventio ad excludendum che collocava il partito missino ai margini della vita politica italiana. Lo stragismo, insomma, non era solo espressione di un culto della violenza fine a se stessa, che costituiva un connotato costante della estrema destra eversiva, erede dello squadrismo fascista, ma era anche progetto politico. Si trattava di fermare processi di cambiamento che a partire dagli anni ’70 sembravano destinati a prevalere all’interno della società italiana, una volta verificatasi la cosiddetta svolta a sinistra. Si voleva realizzare una torsione autoritaria del sistema politico utilizzando gli attentati per diffondere la paura tra la gente. Per raggiungere questo obbiettivo erano pronti a mobilitarsi suggeritori politici autorevoli e apparati dello Stato che li assecondavano. L’obbiettivo di spostare a destra l’asse della vita politica italiana consentiva al partito missino di potere avere un importante ruolo, mettendo a disposizione del disegno eversivo ambienti nostalgici che avevano vissuto l’avvento della Repubblica come un sopruso.
C’era il variegato mondo degli sconfitti di Salò pronto a rispondere a una chiamata alla mobilitazione eversiva. Era questo il contributo che i missini potevano dare alla strategia golpista, potendo contare su una manovalanza di sbandati e violenti decisi a destabilizzare la Repubblica dei grandi partiti di massa. Si trattava di una sorta di rivincita, da parte di chi aveva vissuto la Repubblica e la Costituzione come un tradimento della patria. Era significativo che una parte della dirigenza missina, con in testa Almirante, non si riconoscesse nella Costituzione. Gli estremisti neri in questo senso rappresentavano una sorta di braccio armato per realizzare quel progetto di rifondazione dello Stato su basi autoritarie di cui si trova una esauriente documentazione tra le carte di Gelli. Ciò è emerso con chiarezza dalle inchieste giudiziarie e parlamentari.
Non si può, quindi, non rimanere sconcertati di fronte alla tenacia con cui reduci e nostalgici residui – qualcuno c’è anche nel partito della Meloni -vogliono fare rivelazioni clamorose sulla natura e responsabilità dello stragismo. Si tratta di verità già accertate in modo inconfutabile. Per saperne di più costoro possono attingere informazioni da personaggi che contavano nel Msi.
Sia chiaro: nessuna responsabilità può essere addebitata, per ragioni generazionali, in ordine alle trame di cui si discorre, al partito che del Msi è erede. Semmai vi sono delle amnesie; ma nella vita dei partiti attraverso la narrazione collettiva tutto si può ricostruire. Comprensibilmente, con riferimento ai fatti di cui si discorre, c’è un atteggiamento imbarazzato da parte di chi si sente erede di quella storia.
C’è voglia di rimozione. E, tuttavia, c’è da chiedersi, dopo il discorso chiarificatore di Mattarella, se si possono ancora riproporre anacronistiche contrapposizioni politiche nella individuazione degli obbiettivi e dei protagonisti dello stragismo nero. Soprattutto, c’è da chiedersi: i militanti del vecchio Msi possono dire di non avere mai conosciuto, frequentato, solidarizzato, anche attraverso pesanti coperture, coloro che pensavano di dovere essere fedeli all’idea e di doverla servire anche attraverso la strategia delle bombe? Magari per alcuni si trattava di contiguità solo culturali ma comunque ingombranti. Non risultano clamorosi atti di dissociazione tra il neofascismo delle bombe e quello in doppiopetto. Anzi. Alcuni di costoro per i meriti conseguiti sul terreno delle attività eversive venivano presentati alle elezioni nelle liste del Msi, insieme a quei servitori dello Stato che avevano tramato contro la Repubblica.
La Meloni ha ricordato Matteotti in occasione del centenario della morte, definendolo vittima di un regime che ha fatto ricorso al delitto politico per conquistare il potere: un’ammissione di responsabilità da non sottovalutare. Potrebbe usare lo stesso linguaggio della verità, riconoscendo che è stato un errore la beatificazione, in certi ambienti della destra estrema, del terrorismo nero. Si potrebbero così chiudere per sempre le diatribe sullo stragismo, senza dare l’impressione, da parte di partiti che oggi governano il Paese, di avere subito quasi con stizza le numerose decisioni giudiziarie in materia di stragi che hanno condannato gli estremisti neri. Una presa di distanza da chi ha bollato quelle sentenze come un teorema fazioso ,destinato a colpire la destra.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA