Il parere
La vittoria di Trump in America: la democrazia non è mai scontata ma va costruita
Negli Usa è stato espresso il malessere di buona parte della società americana verso l’establishment, ossia verso le elite dominanti che si affermano quale ceto di governo e si legittimano spesso con le vesti di una pretesa competenza
Interessa a tutti l’elezione di Trump a presidente degli Usa, di un Paese che ha assunto sinora un ruolo decisivo sotto tanti aspetti, da quello militare a quello culturale e politico. Le elezioni del 5 novembre scorso manifestano talune dinamiche diffuse in tanti Paesi occidentali, compresa l’Italia, e che segnano un profondo mutamento dei sistemi democratici, almeno di come li conosciamo e di come siamo abituati a considerali.
La vittoria di Trump ha espresso il malessere di buona parte della società americana verso l’establishment, ossia verso le elite dominanti che si affermano quale ceto di governo e si legittimano spesso con le vesti di una pretesa competenza. Su ciò egli aveva già vinto, giacché la società statunitense manifestava la sua insoddisfazione verso l’amministrazione Biden, per così dire a prescindere dai risultati ottenuti. La candidatura della Harris ha risposto al modello di una scelta calata dall’alto, imposta da un cerchio magico e sostenuta oltretutto dai personaggi dello spettacolo. Come se il fatto che l’indicazione di voto venga da un attore o da uno sportivo dovrebbe convincere l’elettore a seguirla.
Sulle pagine de La Sicilia, con grande concretezza, il direttore Piraneo ha consigliato ai leader politici di elevare a testimonial delle loro prossime campagne elettorali donne ed uomini con i loro problemi, invece che affidarsi ai volti della pubblicità. I problemi al primo posto, si direbbe. Il che dovrebbe essere proprio delle fasi in cui sono venute meno le ideologie aggreganti del Novecento.Si avverte qui il grande cambiamento nel funzionamento della politica, che rischia per l’appunto di divenire pubblicità. Quasi si inverte il circuito della rappresentanza politica: non si parte dal problema che associa le persone in un partito e a proporsi di affrontarlo, ma si muove da un soggetto politico che per affermarsi cerca il consenso elettorale con ogni strumento ed anche a qualsiasi prezzo della finanza pubblica. Ogni riferimento alla recente storia italiana è voluto.Con Nietzsche potrebbe dirsi che non c’è più il fatto-problema, ma solo l’opinione, ciò che da una prospettiva collettiva potrebbe chiamarsi storytelling o narrazione. E non ci sono più cittadini-elettori che votano con la loro testa, ma tifosi. La narrazione è l’elemento che unisce e non importa che essa sia spesso solo un racconto estremizzato.
Abbiamo perso i partiti ideologici e ci ritroviamo partiti personalizzati in cui vale soprattutto la prossimità al Capo. La democrazia cui eravamo abituati si fondava sull’informazione e sulla partecipazione ed anzi richiedeva che la presenza dei cittadini fosse sempre più estesa. Oggi abbiamo a che fare con partiti costruiti attorno a un Capo che risolva i problemi o anche solo li dichiari abrogati per legge. Alla partecipazione si sostituisce il plebiscito personale.Così, le recenti elezioni americane sono state un referendum pro o contro Trump. E lui è stato abilissimo a sfruttarle da protagonista. Il suo sponsor è stato Elon Musk che fa della sua ricchezza e della capacità di applicare le tecnologie più avanzate il presupposto di un consenso trasformato in potere politico.Senza scomodare Weber, la democrazia plebiscitaria sconta il mito del successo: il che esprime una dimensione pressoché darwiniana della società in cui alcuni sono destinati a prevalere ed altri a soccombere. Tutto il contrario dell’integrazione sociale che dovrebbe essere propria della democrazia fondata, invece, sull’eguaglianza quantomeno dei punti di partenza.Certo, la dimensione elitaria era presente anche nella democrazia di Pericle e l’attrazione verso chi è ricco e potente è in tutte le società. Lungo i secoli abbiamo tentato di costruire sistemi in cui i gruppi di potere siano tanti ed in cui la partecipazione dei cittadini sia costante, e non solo il giorno delle elezioni. Il fatto è che ogni generazione deve costruire la “sua” democrazia, senza cullarsi che essa sia data e conquistata una volta per tutte. E vale per l’America come per noi.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA