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L'analisi

La verità dei dati e la politica senza vergogna

In Sicilia fino a 612 giorni per una visita specialistica

Di Mario Barresi |

Chiudete gli occhi e pensate alla linda efficienza di un ospedale tedesco: qualità delle cure eccellente, bassi costi per il cittadino (c’è un assicurazione obbligatoria, ma è gratis per chi non può permettersela), liste d’attesa azzerate. Poi riapriteli: e guardatevi attorno. In Sicilia fino a 612 giorni per una visita specialistica, reparti in cui piove dentro, pronto soccorso chiusi alle otto di sera, per il paziente «scassamaroni» (cit.) non raccomandato dall’amico dell’amico è un incubo.

È un (amaro) calembour il titolo scelto per l’approfondita inchiesta di queste pagine: ai siciliani la sanità – questa sanità – costa quanto la Germania. Al lordo delle partite di giro Roma-Palermo, infatti, la Regione impegna oltre il 10% del Pil siciliano nel sistema sanitario. Cioè molto di più dell’investimento nazionale (6,2%), ma anche delle medie Ue e Ocse. E un altro indicatore significativo, il numero di medici per ogni mille abitanti, è identico a quello tedesco: 4,5.

Nel dark side dei dati Ocse rielaborati da Gimbe, però, la Sicilia è fanalino di coda nei famigerati Lea (immaginate cosa succederà con l’autonomia differenziata?), con posti-letto insufficienti, bocciata in prevenzione e col record italiano di morti evitabili.

Qualcosa non torna. E la chiave di lettura è nella cronaca: le tribù dei politicanti siciliani in guerra per spartirsi gli strapuntini di potere in Asp e ospedali, dopo aver lottizzato i manager. C’è un nesso fra le pessime performance della nostra sanità e la qualità di chi l’amministra? Certo, è stato sempre così; con i governi di tutti i colori. Ma mai con la scientifica spudoratezza di oggi. Le nomine delle direzioni strategiche sono «prerogativa esclusiva» dei manager. I quali però hanno aspettato i “pizzini” dei ras locali del centrodestra per firmarle. Tutti assieme, come in una figura di nuoto sincronizzato, dopo mesi di stallo. Giornali e siti si sono sbizzarriti – chi con lo scrupoloso lavoro dei cronisti, chi con il “copia&incolla” selvaggio – nell’attribuire le nomine a ogni singolo partito o deputato. Nessuno ha mai smentito. Anzi: c’è chi, piccato, ha tenuto ad attribuirsi la paternità di qualche orfano. Se non abbiamo scritto bugie, allora Schifani – posto che tutto ciò sia davvero accaduto, come al solito, a sua insaputa – non aspetti l’eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi: cacci oggi stesso tutti i manager. Evidentemente inadeguati, perché schiavi di chi li ha scelti.

In un mondo normale, oltre a rappresentare notizie di reato per le Procure, i racconti di questi giorni farebbero indignare l’opinione pubblica. Suscitando almeno un timido rossore nella classe dirigente, politica e sanitaria. Ma siamo in Sicilia (colonia ospedaliera del Burundi, con buona pace di Cuffaro, che non è nemmeno il peggiore) e non in Germania. Qui la virtù dei potenti è l’incapacità, ontologica, di provare vergogna.

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