La Sicilia non è ancora una terra per giovani e lo sviluppo viene frenato

Di Rosario Faraci* / 15 Settembre 2024

Fra le tante criticità della Sicilia, c’è pure il mancato o ritardato passaggio del testimone fra adulti e più giovani. Nelle posizioni chiave di aziende, enti e organizzazioni, ma anche nei ruoli strategici del “dietro le quinte” e in alcune funzioni intermedie ugualmente importanti, l’età media dei leader è ancora alta e la durata temporale del mandato sembra infinita.
Oltre al gender gap fra uomini e donne, il divario intergenerazionale indebolisce fortemente il tessuto socioeconomico dell’isola. Nel frattempo, come abbiamo scritto la scorsa settimana, i giovani scappano dalla Sicilia verso l’Altrove. Quelli che restano, a forte rischio di polarizzazione sociale, non sono messi nelle condizioni di assumere ruoli e posizioni di responsabilità.

Il tasto dolente

Dove manca il ricambio generazionale?
Iniziamo col tasto dolente, cioè la politica. Se l’età media degli eletti nei consigli comunali o all’Assemblea Regionale Sicilia si è abbassata, e non mancano nemmeno giovani sindaci alla guida dei Comuni, è pur vero – come ben riporta con dovizia di particolari la cronaca politica di questa testata giornalistica – che a “comandare” rimangono sempre gli stessi. Da diversi decenni. Non importa il colore politico perché ormai è come la muta della pelle dei rettili, ma agli intoccabili spetta l’ultima parola su tutto, spesso anche la prima.
Sovente dietro le quinte, lontani dai riflettori mass mediatici, i più vanitosi presenti sui social, i “capi” vantano una sorta di diritto incontestato ad interferire, condizionare, manovrare. Animali politici autentici nel senso più nobile del termine, e pertanto leader riconosciuti dai loro adepti e dall’elettorato, non intendono favorire il ricambio generazionale, se non di facciata, e sono un freno alla modernizzazione dell’isola. Perché, magari non è tutta colpa loro, oppure sì è anche loro se si ostinano a non mollare, i giovani scappano e vanno via.

La società civile

Non è poi così diversa la situazione nella cosiddetta società civile, anche perché la politica è il riflesso specchiato di quest’ultima. Nel mondo associativo, delle organizzazioni rappresentative di categoria, persino all’interno di enti non profit e nell’associazionismo di servizio, alcuni Matusalemme sanno come contrastare il logorio della vita moderna. Non che l’età avanzata e la longevità debbano essere una colpa, altrimenti si cadrebbe nel problema opposto della discriminazione sociale del merito.
Ma è mai possibile, si chiedono in molti, che invece di assumere un dignitoso ruolo di mentori responsabili e saggi consiglieri, certi leader associativi continuino, dalle retrovie, a influenzare pesantemente la dinamica interna delle organizzazioni cui appartengono? E che alcuni, addirittura, alimentino pericolose forme di autocelebrazione?

Il mondo delle imprese

C’è poi il mondo delle imprese. Anche qui, in Sicilia, manca il ricambio. Da un lato, è carente o fortemente rallentato il rinnovamento al vertice, soprattutto nelle imprese familiari, dove spesso i passaggi generazionali tardano a verificarsi e nel frattempo le aziende perdono di competitività. Succede pure – come evidenzia uno studio dell’Università LIUC di Castellanza – che i giovani “eredi” della generazione Z non abbiano più alcun interesse ad entrare nell’impresa di famiglia. Quindi il problema della transizione del potere imprenditoriale si trasforma in un dilemma: vendere ad altri la proprietà aziendale o chiudere per sempre i battenti?
Dall’altro lato, vi è una carenza di ricambio interno nella classe imprenditoriale. In alcuni settori, dominano ancora imprese più datate, mentre le nuove realtà aziendali, soprattutto le start-up innovative, sono relativamente poche. Molte di queste faticano a ottenere visibilità e a ben posizionarsi nei mercati di riferimento. Quando nelle imprese si sclerotizzano posizioni di comando e di leadership, le spinte al cambiamento e all’innovazione, necessarie per competere sui mercati, sono devitalizzate.
Potremmo aprire ancora altri cahiers de doléances. Accade pure che giovani messi al comando si comportino peggio degli anziani che hanno dato loro l’investitura, ma quella è un’altra storia.
Leadership e potere vengono sovente confusi, il problema è tutto italiano. Ma nella nostra isola è amplificato dalla cultura verghiana della “roba”, endemica nelle famiglie di stampo patriarcale. Prima che sia troppo tardi, occorre promuovere subito la consapevolezza diffusa che solo una leadership etica valorizza rinnovamento e inclusione.

*Giornalista pubblicista, insegna Principi di Management all’Università degli Studi di Catania

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Pubblicato da:
Fabio Russello