Notizie Locali


SEZIONI
Catania 20°

Il commento

La morte di Elena tra dolore e rabbia: quale senso della giustizia

Trent’anni di carcere a Martina Patti per l’uccisione a Mascalucia di sua figlia. Così ha stabilito la Corte d’assise di Catania. La sentenza non è stata tuttavia ben accolta dalla difesa dei familiari della vittima né da loro personalmente, almeno a giudicare dalle reazioni e dagli sfoghi registrati dopo la sua pronuncia

Di Tommaso Rafaraci |

Trent’anni di carcere alla giovane Martina Patti per l’uccisione a Mascalucia, nel giugno del 2022, della piccola Elena Del Pozzo, sua figlia. Così ha stabilito la Corte d’assise di Catania il 12 luglio, pronunciando anche sui connessi reati di occultamento del cadavere e di simulazione di reato. La sentenza non è stata tuttavia ben accolta dalla difesa dei familiari della vittima né da loro personalmente, almeno a giudicare dalle reazioni e dagli sfoghi registrati dopo la sua pronuncia. Si lamenta che non sia stato inflitto l’ergastolo; si manifesta amarezza per il fatto che l’applicazione della pena perpetua sia sfumata per la concessione delle circostanze attenuanti generiche (probabilmente riconosciute anche in virtù della confessione e valutate equivalenti alle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi).

Sia pure in punta di piedi, come richiede una vicenda così delicata, viene da interrogarsi sul senso di questa insoddisfazione, che ha portato, ad esempio, la nonna paterna di Elena a dire: «L’hanno ammazzata un’altra volta. È una sentenza ingiusta. Avremmo dovuto vedere la parola ergastolo, perché lei non doveva avere la possibilità di vivere, come non l’ha data a sua figlia», Elena «meritava una sentenza diversa, così non ha avuto giustizia».

Sono parole cariche di comprensibile emotività ma pronunciate, pur fra le lacrime, nella lucida consapevolezza che anche un verdetto di ergastolo non avrebbe alleviato di un grammo il peso del dolore. E proprio da qui sorgono allora la domanda e l’esigenza di riflessione. A quale reale bisogno risponderebbe sentir pronunciare dalla Corte la parola ergastolo? Come può suscitare reazioni di così netto rifiuto come quelle registratesi una sentenza che pure ha applicato a Martina Patti, su conforme richiesta del pubblico ministero, una pena pesantissima?

È probabilmente vero, purtroppo, che di fronte a fatti gravi e, anzi, efferati come quello in questione, il “bisogno di pena” maltollera i margini di ponderazione e di attenta considerazione di tutte le circostanze del caso concreto, anche sotto il profilo soggettivo dell’autore del reato, che sono propri della valutazione giudiziale. Le aspettative di punizione premono in questi casi con più forza del solito sul giudizio, insidiandone non solo la tenuta cognitiva ma anche la proporzionalità del trattamento sanzionatorio. Occorre allora tener ferma la barra, assicurando l’effettività della tutela giurisdizionale non solo rispetto al rischio di accuse infondate ma anche rispetto a quello di condanne sproporzionate. E’ poi del tutto fisiologico che, pur nell’ambito dei margini stabiliti dalla legge, la valutazione delle circostanze, come più in generale l’intero procedimento di determinazione della pena, comporti margini di valutazione discrezionale. Ma è proprio questo a rendere al riguardo insostituibile e, di più, intangibile il ruolo del giudice terzo e imparziale.

Non si entra naturalmente nel merito della sentenza della Corte d’assise catanese, la cui motivazione peraltro non è ancora disponibile. Si vuole qui solo sottolineare una certa sproporzione tra il tenore della decisione e la veemenza delle reazioni negative da essa suscitate nei parenti di parte paterna della vittima; come anche, in prospettiva più larga, l’esigenza di uno sguardo non unilaterale nella complessiva considerazione di questa vicenda. In essa non c’è, come invece sarebbe proprio di una tragedia greca, un conflitto da sciogliere: l’intero torto sta – sembra stare – dalla parte della madre di Elena. Ma ciò nulla comunque toglie alla tremenda realtà di un dramma a tutto tondo: se Martina Patti, quando la sentenza diventi definitiva, espierà la sua pena, anche la madre di lei, e i suoi parenti, tutti incolpevoli, patiscono già l’assenza della piccola Elena e sono immersi nel dramma.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA