Trent’anni dopo la guerra in Bosnia, l’Europa è chiamata a riscoprire l’orrore della guerra e i confini da ridisegnare sulle carte geografiche, neanche si giocasse a Risiko, ridestandosi di botto dal torpore indotto da leadership ondivaghe e diplomazie incerte. Confusi da sovranismi sparsi, scopriamo quanto sia debole il fianco Est del Vecchio Continente in assenza di un contrappeso politico, militare, economico a Ovest: l’Unione Europea è unita da una moneta comune e da organi depotenziati, ma per il resto è disarticolata, succube in campo energetico ed elettronico, l’autosufficienza ancora come miraggio e gli Stati Uniti che intanto pensano alla loro di economia.
Oggi siamo sgomenti per le immagini che arrivano da Kiev e per quelle che potrebbero seguire. Ma abbiamo già perso sol perché tra due autocrazie dobbiamo scegliere la meno pericolosa, non essendoci in quella parte di Europa, neanche in Ucraina, una democrazia vera, specchio dei nostri modelli.
Abbiamo già perso perché sappiamo che dovremo ambire a un negoziato al ribasso e accettare che Putin faccia la Grande Russia senza neanche dovere rifare l’Urss, bastandogli governi amici e “democraticamente eletti” sotto la minaccia dei carri armati.
Illusi dalla caduta del Muro di Berlino, non siamo stati capaci di evitare che ne venissero costruiti altri.