Irrilevante, intergovernativa o federale? Detta così richiama il claim della famosa acqua minerale: liscia, frizzante o…? Ciascuno ha il proprio gusto e può decidere cosa bere. Così anche sul futuro dell’Europa ciascuno può avere la propria idea e può fare liberamente le proprie scelte, prendendosene però le responsabilità. E allora a che Europa pensiamo di guardare andando alle urne o disertandole e così ingrossare il primo partito, quello dell’astensione per disaffezione o indolenza?
Gli scenari sono complessi ma in fondo no. Vogliamo una Unione sostanzialmente irrilevante di fronte al nuovo (dis)ordine mondiale, con una presidenza americana comunque debole, l’obliquità cinese, le ambizioni delle potenze non allineate, la prepotenza russa, la mina vagante mediorientale e l’incubo del fanatismo religioso? Ci accontentiamo di un’Europa semplicemente intergovernativa, dove l’unione di fatto è solo monetaria? La spinta solidaristica, infatti, si è chiusa insieme con la parentesi della pandemia, giacché subito dopo i 27 hanno ripreso a marciare in ordine sparso se non litigioso.
Terza opzione: si punta ad avere una visione strategicamente federale, con una politica davvero comune anche e soprattutto sui nodi più importanti, dai diritti alla difesa e non soltanto sull’imposizione del diametro delle zucchine e sull’apertura alla farina di grilli, certo cosa altra rispetto a una politica agricola comunitaria?
Per tutto questo la paura e la speranza sono gli stati d’animo, i sentiment estremi e opposti con i quali ci approcciamo al voto di oggi e domani.
La paura è che anche queste elezioni tanto importanti vengano in realtà svilite in un test sulla tenuta della maggioranza che sostiene il governo Meloni, si traducano in una “banale” prova muscolare sui rapporti di forza tra i vari partiti del centrodestra così come, in parallelo, all’interno del centrosinistra, delle opposizioni. Paura ingigantita in Sicilia dal fatto che l’esito del voto possa essere strumentalmente utilizzato e indirizzato con il solo orizzonte dell’annunciato, rinviato e poi rilanciato rimpasto della giunta Schifani, attraverso la conta nella coalizione se non fra i singoli esponenti di una stessa bandiera.
Questa è la paura, perché intanto si vota con il sistema proporzionale – e, si sa, competition is competition – e poi perché nessuno è così ingenuo da pensare di vivere nel paese dei balocchi né in quello delle meraviglie. Non ci sono favole e quindi il timore è che si vada alle urne non con una visione ampia, ma con il solito provincialismo che accompagna da sempre l’Italia e le scelte degli italiani. Con l’aggravante, caso unico in Europa, della candidature soltanto di facciata dei leader, come Meloni e Schlein: diverse in tutto, non nella decisione di prendere voti con il proprio nome, salvo non pensare neanche di andare a Strasburgo e Bruxelles.
Queste sono le paure. La speranza – perché c’è sempre una speranza – è che infine si voglia costruire comunque un’Unione più politica e meno tecnocratica, più di strada e meno di palazzo.
È importante per tutti, per noi siciliani ancora di più. E non soltanto per i fondi che l’Europa garantisce, ma proprio per il ruolo che può assegnare all’Isola nel sistema Paese.
Per esplicitare cosa è l’Europa per la Sicilia e la Sicilia per l’Europa, basta riavvolgere il nastro appena alla settimana scorsa, all’annuncio del cofinanziamento di due miliardi di euro per fare dell’Etna Valley la centrale operativa nella “guerra tecnologica” che si combatterà proprio con i cinesi, per ridurre se non affrancarsi dalla dipendenza dai loro microchip.
Ricevere questa mission è il senso di ciò che sognava Altiero Spinelli e con lui Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman: personalità diverse e divise, ma non sull’afflato verso qualcosa di grande: l’Europa unita, senza Nord e Sud. Se ce lo ricordassimo non si tratterebbe più scegliere quale acqua bere ma con cosa brindare.