Dalla Garbatella a Palazzo Chigi: la sfida della sobrietà

Di Salvo Andò / 27 Settembre 2022

Non pare dubbio che il voto del 25 settembre abbia prodotto un vero e proprio terremoto politico, destinato a incidere in modo significativo sul futuro del Paese. Ha vinto il centrodestra, ma ha vinto soprattutto la Meloni, che ha “espugnato” anche territori del Nord di antica fede leghista. Gli elettori hanno, insomma, dimostrato di fidarsi della leader di FdI, che adesso è chiamata a ricambiare questa fiducia, dandosi da subito un profilo istituzionale impeccabile. Il popolo ha scelto il leader che dovrà governarlo, a prescindere dalla sua storia politica e dagli alleati con cui correva. Ha inteso apprezzare la sua capacità di stare all’opposizione – in un Paese in cui tutti, o quasi, sono abituati a correre in soccorso di chi comanda – la chiarezza con cui ha affrontato i dossier più impegnativi studiandoseli, la capacità di tenere insieme un partito, FdI, di  cui è leader indiscussa, la lealtà atlantica dichiarata, la presa di distanza dalla Le Pen, spiegando che la sua è un’altra destra. Queste qualità ovviamente non bastano per gestire una situazione complessa come quella italiana.

Adesso è chiamata a dismettere i panni di capopopolo dall’eloquio efficace, che incitava i suoi alla lotta, per assumere quelli di un leader che sa parlare all’intero Paese rispettando il punto di vista dei suoi avversari soprattutto, ma sapendo inserirsi con spirito repubblicano nella dialettica tra i poteri senza tentare forzature o demagogiche semplificazioni. Sarebbe utile, in questo senso, che utilizzasse il metodo Draghi con riferimento alla sobrietà dei messaggi, al rispetto dovuto agli interlocutori internazionali con cui si confronterà, alla difesa della laicità dello Stato, per evitare che vi siano cittadini che si sentano  discriminati  nell’esercizio delle loro libertà culturali. È auspicabile che il rapporto che la Meloni instaurerà adesso con il Presidente della Repubblica, oltre a garantire il buon funzionamento delle istituzioni, possa contribuire a rendere ancora più incisivo il ruolo dell’Italia nello scenario internazionale. Molto opportunamente la Meloni in campagna elettorale non ha fatto promesse stravaganti. Può, quindi, trovare dei punti di incontro  anche con i suoi oppositori per venire incontro ai bisogni del Paese. Visti i risultati elettorali, che l'hanno premiata penalizzando anche i suoi alleati, è nelle condizioni di respingere eventuali diktat dei partiti della coalizione di governo, che a suo giudizio pregiudicherebbero l’interesse nazionale. 

Sulle riforme istituzionali nel corso della campagna elettorale sono emersi significative distanze tra il centrodestra e gli altri partiti. il Presidenzialismo di per sé non comporta il rischio di un’involuzione autoritaria, a condizione però che ci si intenda sul suo significato. Non si tratta di una forma di governo che garantisce la stabilità attraverso i pieni poteri, bensì di una forma di governo che conferisce lo scettro al popolo, allorché si tratta di decidere il vertice dell’esecutivo, ma senza indebolire il sistema delle garanzie. Non bisogna confondere il governo presidenziale, per intenderci quello degli Usa , basato su un rigoroso rispetto della separazione dei poteri, con il presidenzialismo di tipo sudamericano, che si è rivelato spesso una scorciatoia per arrivare alla dittatura. È bene che su questo tema che costituirà oggetto di discussioni pubbliche, e anche di polemiche, si possa fare chiarezza. L’Italia è un grande Paese, che negli ultimi tempi è riuscito a contare molto in Europa. Non si può consentire, stando nell’Ue, gli strappi allo Stato di diritto compiuti da Polonia e Ungheria. Si tratta di Paesi non decisivi allorché bisogna portare a compimento il processo di unità europea. Di questa necessità la Meloni deve essere convinta, così come lo sono stati i padri fondatori della Repubblica. E sarebbe bene che di questo processo possa essere autorevole protagonista.

Pubblicato da:
Carmela Marino
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