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Da città ad ecosistema imprenditoriale: il salto di qualità che Catania non ha fatto

I tassi di crescita di nuove imprese, imprenditorialità innovativa e quella accademica, analizzati negli ultimi dieci anni su dati Infocamere e Almalaurea, sono financo superiori alle medie nazionali

Di Rosario Faraci* |

Cosa manca a Catania per diventare un ecosistema imprenditoriale paragonabile a territori di eguali dimensioni come, ad esempio, Trieste oppure Bari?Su questa rubrica abbiamo precisato, ad inizio anno, che Catania è una città imprenditoriale. I tassi di crescita di nuove imprese, imprenditorialità innovativa e quella accademica, analizzati negli ultimi dieci anni su dati Infocamere e Almalaurea, sono financo superiori alle medie nazionali. Sul versante dell’imprenditorialità interna, cioè come le imprese esistenti generano nuove opportunità di business e maggiori ricavi, Catania è per l’Istat il primo distretto del Sud per produzione di ricchezza industriale. I numeri, quindi, confortano queste valutazioni e, seppur prudentemente, restituiscono una visione del territorio più protesa verso la speranza.

Il passaggio

È invece nel passaggio da città ad ecosistema imprenditoriale che Catania deve fare ancora una significativa progressione per equipararsi a contesti come quelli prima ricordati che, a parità di dimensioni, registrano migliori livelli di performance imprenditoriale.In una ricerca di Leonardo Mazzoni, Massimo Riccaboni ed Erik Stam (Università di Utrecht), Trieste è il sesto ecosistema imprenditoriale del Paese, Bari è il sedicesimo ma è il primo dell’area Sud-Isole. Catania è invece al 57° posto, ma rimane il primo ecosistema imprenditoriale della Sicilia e il decimo del Mezzogiorno, isole comprese.In cosa difetta, dunque, Catania nonostante gli indicatori di imprenditorialità siano complessivamente buoni? Per provare a rispondere, recentemente si sono tenuti due interessanti incontri, dell’Ordine degli Ingegneri e del Rotary Acicastello.

Il significato

Intanto c’è da mettersi d’accordo sul significato, mai univoco, di ecosistema imprenditoriale. Secondo gli autori della ricerca prima menzionata che da anni studiano il tema a livello europeo, un ecosistema non è una mera sommatoria di imprese e di istituzioni in un dato territorio, facendo poi la conta di quelle che mancano ancora all’appello per accrescere la consistenza delle forze imprenditoriali in campo. Piuttosto, l’ecosistema di basa su un reticolo di connessioni fra questi attori ed altri soggetti esterni (investitori, innovatori, finanziatori) nella prospettiva di accrescere ulteriormente il grado di imprenditorialità territoriale che, a sua volta, ha un impatto sullo sviluppo sostenibile.

Gli attori

A Catania gli attori dell’ecosistema ci sono tutti o quasi. Forse, è più debole la presenza di incubatori ed acceleratori rispetto ad altri territori imprenditoriali, ma nei prossimi mesi sono già programmate alcune importanti aperture su iniziativa di banche, consorzi di imprese informatiche ed Università. Senza dimenticare che molti progetti Pnrr prevedono di attivare nuovi spazi fisici e virtuali per stimolare attraverso i servizi nuova imprenditorialità e start up innovative.È stata più modesta pure la presenza di capitali di rischio da investitori, venture capitalists e altri finanziatori, ma anche su questo versante si registra una inversione di tendenza. Ad esempio, Cassa Depositi e Prestiti guarda con interesse a Catania.Dunque, cosa serve ancora per provare a scalare la classifica in quella ricerca degli studiosi di Utrecht? Innanzitutto, è fondamentale intensificare il reticolo di connessioni. Oggi i vari attori dell’ecosistema catanese collaborano tra loro, ma potrebbero fare di più. Segnali confortanti provengono da alcune esperienze, tra cui vanno ricordate la fondazione Samothrace dell’Università di Catania e i tavoli sull’innovazione promossi dal sindaco Enrico Trantino. Ma si può fare di più.Inoltre, è fondamentale aprire ancora l’ecosistema imprenditoriale del territorio all’internazionalizzazione. Non parliamo solo di export che vale appena 2,3 miliardi di euro. Ma ci riferiamo pure alla capacità di attrarre investimenti esteri nel territorio (come negli anni è stato con StMicroelectronics) e portare pezzi di altri ecosistemi territoriali a Catania. Anche in questo caso ci sono esperienze interessanti, ma si può fare molto di più.

Il tema e la politica

C’è infine un tema che dovrebbe interessare la politica, se solo fosse più attenta allo sviluppo del territorio. Ovvero, quale identità dare all’ecosistema? Senza prendere decisioni, il rischio di una etero-direzione dall’esterno è forte, specie se le idee sono confuse. Ma è altrettanto periglioso decidere di puntare solo su un settore, quando le vocazioni economiche di Catania sono plurime.

*professore di Principi di Management all’Università degli Studi di Catania. È giornalista pubblicistaCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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