Senza volere scatenare una ridda di insinuazioni, dar luogo a fanatismi o considerazioni “di parte”, ho desiderio di esprimere il mio punto di vista – per carità condivisibile o meno, ma in tal caso con educazione e reciproco rispetto – e cercare un tentativo di approccio pragmatico alla situazione Covid nella ennesima fase di recrudescenza epidemiologica.
Vorrei analizzare alcuni fatti e lasciare che ciascuno tragga le proprie considerazioni.
1) Da quasi tre anni ormai conviviamo col nuovo virus, caratterizzato da estrema contagiosità e mutevolezza, inizialmente molto aggressivo e pericoloso, che oggi sembra essersi fortunatamente attenuato e che nella gran parte dei pazienti viene riscontrato solo per caso o per banali sintomi, almeno per il momento. La mortalità è con queste nuove varianti bassa (50-60 casi giornalieri/80mila positivi).
2) Molti non hanno desistito dai propri convincimenti e non si sono vaccinati, né mai lo faranno. Una mia paziente addirittura mi ha riferito di non vaccinarsi perché la sua parrucchiera le ha detto che il vaccino causa ferromagnetismo nel punto di inoculazione.
3) Il legislatore ha consentito che in aereo non si usino più le mascherine. Pensate, per carità fatelo sorridendo, a cosa accade appena un aereo atterra – orgia di profumi ascellari e scariche di alitosi in viso, con ammassi informi di gente che si esprime in acrobazie impensabili per prendere il bagaglio a mano prima di altri.
Sempre in tema di liberalizzazione, le feste sono spesso un “cumulo” di persone, in discoteca si balla e si canta, cioè si spruzza sudore e saliva, si parla vis-a-vis, ci si corteggia cheek-to-cheeck, a mare si va senza protezione, nei bar, ristoranti e negozi non si usa più la mascherina. Ci si bacia e abbraccia come se nulla fosse.
4) Molta gente ha il Covid e neanche lo denunzia (credetemi è così), «perché stare a casa per un raffreddore o un po’ di mal di gola?».
Stando così le cose, a torto o a ragione, non lo discuto e non voglio entrare nel merito, chi ci va di mezzo? La comunità. E come? Per avere una fra le tante risposte, andiamo negli ospedali e vediamo quanti e quali siano i reparti Covid dove sono anche ricoverate persone altrimenti sane o dimissibili, ma positive al virus. Sia ben chiaro e si sappia che se un paziente Covid può essere dimesso, deve farlo a spese di grosse battaglie organizzative. Come potrebbe andarsene a casa se non in “ambulanza Covid”? E poi, dove lo mettiamo il paziente sano ma “infetto” quando la casa è di poche stanze? Ergo, nessuno porta a casa i propri parenti. E ancora, analizziamo le liste di attesa per prestazioni, esami, ricoveri; rendiamoci edotti di quanto un singolo paziente Covid sia in grado di condizionare la vita di un intero reparto. Informiamoci di quanti fra medici, infermieri, tecnici, operatori sanitari, amministratori e funzionari ospedalieri siano in malattia per sola positività al Covid, con conseguenti riduzioni dei ricoveri e di esami molto più importanti della loro malattia. Pensiamo al ritardo delle cure cardiologiche (prima causa di morte e malattia), oncologiche (seconda causa) e così via. Guardiamo gli ordini di servizio delle Direzioni Aziendali di alcuni ospedali per capire la dimensione del “blocco” di alcune normali attività assistenziali.
Veniamo al dunque: è tempo di derubricare il Covid? Io penso di sì, almeno in questa fase e con le regole attuali, lo penso dall’alto delle mie tre vaccinazioni, delle mie ripetute infezioni da Covid e alla luce di quanto oggi avviene sotto gli occhi di tutti. Perché allora nessuna liberalizzazione in un contesto di tale deregulation? Una fra le tante verità, ahimè, è che se un paziente in ospedale si becca il virus perché il medico o il compagno di stanza lo ha contagiato, ha magari trovato la maniera di arricchirsi per una causa che non dovrebbe neanche vedere la luce. Siamo in Italia, dove in alcune realtà ancora oggi si portano al pronto soccorso pazienti moribondi, sperando che morte sopraggiunga per poi fare causa, tanto paga l’assicurazione…
Fino a che le cose stanno così, sperando che le previsioni degli esperti non siano veritiere – con tutto il rispetto per professionisti di altissimo livello – direi che magari declassiamo il virus e proteggiamo il sistema sanitario da ogni azione legale conseguente al possibile, direi prima o poi quasi certo, contagio. Quindi, in attesa di regole coerenti, rigide e rigorose, creeremmo meno contraddizioni nel nostro comportamento sociale, oggi schizofrenico e forse salveremmo più vite, in attesa di una recrudescenza dell’aggressività virale quando torneremo alle vecchie regole mettendo i motori “indietro tutta”.
* Ordinario di Cardiologia – Università di Catania – Direttore Uoc Cardiologia Policlinico San Marco