Caso Open Arms, «Quello a Salvini è un processo politico ma non è un processo alla politica»

Di Emiliano Abramo* / 20 Settembre 2024

Sei anni di reclusione: questa la richiesta dell’accusa avanzata dal Pm di Palermo contro il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini il 14 settembre del 2024, a due anni esatti dall’inizio del processo nei suoi confronti. Il leader della Lega è accusato di aver negato illegittimamente, nell’agosto del 2019, alla nave della ong spagnola Open Arms di far sbarcare nel porto di Lampedusa 147 profughi soccorsi in mare. Accuse non nuove per Salvini, già imputato a Catania per una vicenda analoga (il caso Gregoretti) che si era però conclusa con un non luogo a procedere.

A novembre del 2019 il tribunale dei Ministri ha ricevuto dai Pm la richiesta di procedere a indagini preliminari nei confronti del leader della Lega. A febbraio 2020 la decisione del collegio di chiedere al Senato l’autorizzazione a procedere. Nel provvedimento, con il quale il tribunale ha accolto sostanzialmente la ricostruzione dei Pm, i giudici hanno affermato il principio dell’obbligo di prestare soccorso in mare e hanno definito come “amministrativo” e non politico l’atto di vietare l’approdo ai migranti disposto da Salvini. La decisione di non far sbarcare a Lampedusa i profughi soccorsi, secondo i magistrati, insomma, è stato un atto deciso dall’allora ministro dell’Interno individualmente; quindi, non “condiviso” con gli altri esponenti del Governo, come invece ha sempre sostenuto il leader della Lega.
La reazione del ministro Salvini, che oggi occupa la delega alle infrastrutture, è stata quella di definirsi – attraverso un video grottesco nel senso che sembra esser stato realizzato in una grotta – «colpevole di aver difeso i confini dell’Italia» e di essere vittima di un processo politico. Espressioni che hanno sollevato la solidarietà del presidente del Consiglio Meloni e di altri membri del governo.

Ma è un processo politico? Io credo di sì perché ha come imputato un ministro del governo di allora e di oggi, ma non dobbiamo confonderlo con un processo alla politica!
Per chiarezza: il ministro compie provvedimenti amministrativi che sono soggetti al controllo di legalità, non c’è una contrapposizione della magistratura contro la politica. Anche un ministro può essere soggetto ad un controllo di legalità in un sistema di democrazia costituzionale come il nostro. Se non si accetta questo non è la magistratura a sbagliare ma chi si aspetta altro ovvero che la magistratura si arresti difronte ai politici, dinamica che sarebbe certamente incostituzionale.
Per quel che riguarda la difesa dei confini sottolineo solo che è lecito e opportuno difenderli, ma senza violare la legge. Bisognerà vedere se c’era un pericolo per i confini e questa è materia del processo, in ogni caso un pericolo lo si fronteggia con le armi del diritto. La legge va rispettata dai ministri e dai cittadini comuni.
Avvertiamo un clima, un uso del linguaggio irresponsabile. Parlare della magistratura che un mese siede al tavolo del complotto, un altro mese fa il processo alla politica vuol dire avvelenare il dibattito pubblico sulla politica. La mia idea coincide con un richiamo generale all’uso di toni più pacati e rispettosi.
È un appello, il mio, che si unisce a quello dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo, ma che vuole sostenere il buonsenso delle parole di Papa Francesco che, nell’Udienza Generale del 28 agosto in Piazza San Pietro ha detto: «Su una cosa potremmo essere tutti d’accordo: in quei mari e in quei deserti mortali, i migranti di oggi non dovrebbero esserci. Ma non è attraverso leggi più restrittive, non è con la militarizzazione delle frontiere, non è con i respingimenti che otterremo questo risultato».
La componente umana e gli effetti che alcuni comportamenti politici, di ieri come di oggi, rimangono fondamentali. Effetti che si estendono alla vita dei migranti come alla vita degli italiani e della nostra democrazia.

Bisogna pertanto rileggere anche il processo “Open Arms”, ricordando che quello attuale è un governo che tiene molto alla sicurezza, al rispetto delle leggi in Italia. Non vorrei che passasse, con le recenti dichiarazioni del ministro Salvini e del Presidente Meloni, l’idea che ci siano cittadini al di sopra o al di fuori della legge, oppure che la legge valga soltanto quando fa comodo a chi comanda. Per questo è importante il richiamo al senso di responsabilità delle istituzioni.
Quello attuale è un governo che nasce mettendo al suo interno persone già condannate per cose anche gravi come, ad esempio, il razzismo o altre cose delle quali non bisogna andare fieri, estendendo il campo che sapere i proclami dalle scelte determinando pertanto una grave ipocrisia del governo.
Pertanto, insieme all’invito al rispetto delle istituzioni, al mantenere toni opportuni aggiungo il tema dell’ascolto. Siamo alla fine di un’estate in cui su argomenti fondamentali come l’autonomia differenziata, il premierato e l’accoglienza sono rimasti inascoltati la CEI, i costituzionalisti e i sindacati. Persino il Papa!
In definitiva, chiudendo con una battuta, propongo una verifica del trinomio “Dio patria famiglia”. Tenuto conto che la voce della Chiesa è rimasta ampiamente non ascoltata e che la patria viene spaccata dall’autonomia differenziata, dall’assenza di una legge sulla cittadinanza e dalla difesa “allegra” dei confini dico…speriamo che, almeno in famiglia, stiano tutti bene!

*Comunità di Sant’Egidio

Pubblicato da:
Leandro Perrotta