Palermo. Quale dei due interessi è più importante: completare l’anello a 380 Kv di Terna per porre fine ai blackout dell’Isola e ridurre il prezzo dell’energia, o salvaguardare uno dei più bei territori d’Italia? Il Consiglio di Stato ha scelto la seconda soluzione e ha bloccato l’autorizzazione ministeriale alla costruzione dell’elettrodotto Chiaramonte Gulfi-Ciminna, che per 172 km dovrebbe attraversare 6 province e 24 Comuni. A fare ricorso non sono stati sindaci e ambientalisti, come avviene di solito, ma una signora di Petralia Sottana che da sola ha salvato la sua terra su cui ha speso una vita.
Infatti, i giudici della quarta sezione presieduta da Paolo Troiano hanno dato ascolto – unico soggetto istituzionale in Italia a farlo – a Rosellina Di Salvo, 67 anni, dopo che il Tar del Lazio aveva respinto un ricorso presentato da lei e da altre 24 aziende della zona. La Di Salvo, titolare di un’azienda agricola biologica, ha proseguito da sola la battaglia legale durata dieci anni per difendere non solo la propria tenuta di 70 ettari che si estende nell’antico borgo di Chibbò Barbarigo, ma anche il circostante vasto territorio che cinge il Parco delle Madonie. L’area è vocata a colture specializzate e ricade nel disciplinare dell’olio Dop Mazara del Vallo.
«È la vittoria di Davide contro Golia, contro chi non poteva immaginare che uno ‘zu Turiddu qualsiasi avrebbe potuto costringere le massime istituzioni a rispettare la legge quando tutti avevano detto sì al progetto», commenta la figlia Laura Briguglia, avvocato, che con la sorella Eleonora, l’avvocato Giovanni Immordino e tutto lo studio legale hanno contrastato il progetto di Terna, i ministeri Beni culturali e Sviluppo e la Soprintendenza di Palermo.
La sentenza è chiara. La signora ha sempre evidenziato con documenti e prove – ma mai ascoltata – che la linea attraversa un’area vincolata dalla legge regionale urbanistica del ‘78; e anche da un decreto dell’assessorato Beni culturali del ‘98, in quanto sono presenti siti archeologici e un santuario del ‘300, quello del Belice, meta di pellegrinaggi e inserito in un itinerario ufficiale. In più, se da un lato la linea avrebbe deturpato il paesaggio protetto – è la tesi della signora accolta dai giudici – un pilone sarebbe stato posizionato vicino al caseggiato dell’azienda, comportando l’estirpazione di parte dell’uliveto realizzato con fondi Ue e la chiusura dell’azienda, sia per la perdita dei requisiti Dop con cui produce un olio biologico a marchio registrato, sia perché il campo elettromagnetico avrebbe esposto i dipendenti ad inquinamento ben oltre le 4 ore giornaliere.
La Soprintendenza, che nel 2012 aveva prescritto di spostare il pilone di 1 km dal borgo di Recattivo, nel 2015 ha dato parere favorevole mantenendo le prescrizioni. Il Consiglio di Stato però ha ritenuto che di quella prescrizione non era stato tenuto conto nel nuovo progetto. Sarebbe bastato ascoltare la signora e trovare soluzioni alternative. «Siamo andati avanti fra incredulità e resistenze, convinti che ad un territorio vocato ad agricoltura e turismo resti ben poco dalle royalties», racconta Laura Briguglia. Alla fine l’opera è ferma. Terna si è messa a disposizione dei ministeri e della Soprintendenza e spera che si possano sanare i «vizi di motivazione» sollevati dalla sentenza. Ma resta un caso di insensibilità burocratica sconfitto da una donna che da sola ha difeso uno dei territori più belli d’Italia.