Si è tenuta a Palermo la finale di Start Cup Sicilia, la federazione fra le Università siciliane che organizzano le Start Cup locali nell’ambito del circuito di Pni Cube. Da queste ed altre competizioni – ad esempio, martedì si è svolta a Catania la finale del premio Cambiamenti, organizzato da CNA; a Palermo si terrà il 21 novembre il premio Innovazione Sicilia di Innovation Island – verranno fuori le prossime start up innovative.
Ad oggi in Sicilia se ne contano in tutto 715, mentre le Pmi innovative sono 104. Palermo e Catania sono le province leader. Messe tutte insieme, queste nuove imprese innovative hanno prodotto alla fine del 2023 un fatturato aggregato di poco più di 400 milioni di euro per un numero totale di 2.225 dipendenti effettivi, anche se tra collaboratori e partite Iva la schiera di lavoratori può considerarsi più del doppio.
Start up è una parola dalle molteplici sfaccettature. La utilizzano in tanti, ma con significati non sempre allineati con quello che gli americani hanno associato a questo termine, a partire dalle esperienze virtuose della Silicon Valley. Nel mondo anglosassone e, in generale nel contesto degli investitori istituzionali, una start up è una nuova impresa ad elevata crescita. A rapida scalabilità, come suol dirsi, capace cioè di crescere dimensionalmente (nei fatturati) a tassi decisamente sbalorditivi rispetto alla media.
In Italia, start up si associa invece alla tipologia di imprese previste dal DL 179/2012 che ha istituito l’apposita sezione speciale del Registro delle Imprese, contemplando le cosiddette start up innovative, per lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.
Nel linguaggio quotidiano, start up viene poi considerata sinonimo di nuova impresa, anche quando non è innovativa né scalabile. Fra i giovani, spesso, anche i team di nuova formazione, prima ancora che si costituiscano in forma societaria d’impresa, si autoproclamano start up.
Tutto il mondo è start up, insomma.
Ora, al di là dei molteplici significati attribuibili al termine, rimane comunque il fatto che queste nuove imprese sono potenti vettori di innovazione e moltiplicatori di nuovi modelli di business, a partire da quelli collegati alla sostenibilità e all’impatto.
Un Paese moderno avrebbe bisogno di più start up per innovarsi e cambiare decisamente il passo. In Italia, con l’unica eccezione dell’ecosistema lombardo che comunque è sempre piccolo rispetto ad altri ecosistemi a livello mondiale, su questi temi siamo un po’ indietro. In Sicilia, il ritardo è notevole.
Eppure, qualcosa di nuovo sta accadendo. C’è un maggiore fermento negli ultimi tempi che si registra nelle principali città siciliane.
A Palermo, con l’Università, la Start Cup Sicilia, il premio di Innovation Island, l’esperienza di Palermo Mediterranea e la recente semifinale della Start World Cup. A Messina, con l’Ateneo e il recentissimo Sud Innovation Summit. A Catania, con tantissime iniziative – non ultima l’inaugurazione dell’acceleratore Le Village del Credit Agricole di martedì scorso – che da un anno a questa parte il sindaco Trantino sta convogliando nei tavoli dell’innovazione, dove è presente l’Università che sta facendo partire il suo incubatore. Anche a Ragusa, con il Greentech Mediterranean Innovation Hub promosso da Banca Agricola Popolare di Sicilia e altri partners.
C’è una Sicilia di innovazione ed innovatori che vuole provare a cambiare rotta, soprattutto per arginare la fuga dei talenti giovanili e favorire il rientro di quelli che hanno lasciato l’isola negli ultimi 10-15 anni. Ignorata dalla politica, se non per sporadiche iniziative isolate e mai coordinate, questa Sicilia della ricerca e dell’innovazione deve stringere un’alleanza forte con le famiglie imprenditoriali isolane. Non saranno mai le imprese di queste ultime ad accelerare il cambiamento, come dimostrano anche tanti studi internazionali al riguardo.
Da sempre i vettori di innovazione dirompente sono le start up e le piccole realtà innovative a rapida crescita. Da sole però queste ultime non vanno da nessuna parte. Servono capitali di rischio. In Sicilia, quelli messi a disposizione dai venture capitalist sono stati fino ad ora poco più di 12 milioni di euro, a fronte di 1,2 miliardi andati alla Lombardia. Ci vogliono pure ponti verso nuovi mercati di sbocco.
Ecco perché per le famiglie imprenditoriali siciliane si prospetta un’occasione storica per cambiare insieme alle start up la Sicilia.
*Rosario Faraci, giornalista pubblicista, insegna Principi di Management all’Università degli Studi di Catania