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Salini: «Non è vero che il Ponte non si può fare col Recovery, ecco come»

Di Redazione |

MILANO – Il Ponte sullo Stretto di Messina potrebbe rientrare nella lista delle grandi opere finanziabili con le risorse del Piano di Ripresa e Resilienza (Pnnr) legato al fondo Next Generation Ue, quello che comunement in questi mesi è stato chiamato il Recovery Plan. Lo sostiene l’amministratore delegato di Webuild Pietro Salini, intervistato a Stasera Italia su Rete 4, secondo il quale «si tratta di un progetto che si potrebbe realizzare anche per fasi successive, utilizzando le risorse del Recovery Plan per quanto possibile». In pratica il controario di quello che ha detto fino a oggi il ministro per le infrastrutture Enrico Giovannini secondo il quale «la complessità della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina non risulta compatibile con la tempistica di realizzazione degli interventi ammissibili al finanziamento con le risorse del Pnrr». 

Ma Salini, che giustamente indica le infrastrutture come una via per la ripresa, non è di questo avviso. «Il Ponte da solo – ha spiegato – vale 2,9 miliardi di euro, valore che sale a 7,1 miliardi a costi aggiornati, considerando il progetto complessivo con tutte le opere connesse nelle aree interessate, con la metro di Messina, le opere di sistemazione idrogeologica per le montagne circostanti, le strade di accesso e le strutture per far passare treno e macchine».

«La realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina – ha aggiunto l’amministratore delegato di Webuild Pietro Salini – è stata affidata al nostro Gruppo molti anni fa, dopo 30 anni di analisi e valutazioni di tutti i tipi, ed una gara internazionale che abbiamo vinto».

Successivamente «è stato deciso di non avviare i lavori», ha incalzato spiegando però che «investire nell’Alta Velocità ferroviaria fino a Palermo non ha senso senza Ponte».

«Oggi – ha concluso – il progetto è pronto e noi siamo in grado di farlo partire subito, anche perché sarebbe un’occasione straordinaria per attivare 100mila posti di lavoro in un’area che soffre drammaticamente per il fenomeno della disoccupazione». 

Il ministro  Giovannini ha comunque evidenziato che sull’attraversamento dello Stretto «è necessario un dibattito pubblico importante» che prenderà le mosse dall’attesissima relazione della Commissione di valutazione. Secondo quanto comunicato dal governo, i lavori della commissione ministeriale istituita per individuare il mezzo migliore con cui collegare Sicilia e Calabria dovrebbero essere completati a breve.

Nel frattempo, anche alla luce delle peculiarità dello Stretto e delle perplessità tecniche, l’ipotesi del tunnel sottomarino appare sempre più lontana e improbabile.

Quel che resta certo è che siciliani e calabresi non possono più attendere: il potenziamento di trasporti e infrastrutture per collegare efficacemente le due regioni al resto d’Italia e d’Europa non è più rinviabile. Soprattutto in un paese in cui, come ha evidenziato in aula la deputata di Forza Italia, Stefania Prestigiacomo, “gli 800 chilometri da Salerno a Milano in treno si percorrono in 5 ore, mentre gli stessi 800 chilometri, da Roma a Siracusa, si percorrono in 12 ore”.

Il Ponte sullo Stretto, con una campata sospesa di 3.300 metri e una lunghezza complessiva di 3.660 metri, se realizzato, sarebbe il ponte sospeso più lungo al mondo. Il progetto, presentato dal consorzio Eurolink e approvato nel 2011, esiste già, anche se è stato bloccato dalla messa in liquidazione della società concessionaria Stretto di Messina spa. Oggi, di fronte alle nuove opportunità offerte dalle risorse del Next Generation Eu, si torna a parlare della possibilità di realizzare l’opera, dei costi e dei benefici, soprattutto per il rilancio del Mezzogiorno e di tutto Paese. Per la sola costruzione del ponte si prevede un costo di 4,5 miliardi circa, che sale a 7,1 miliardi se si considerano anche le opere accessorie. 

Solo con le entrate erariali legate al periodo di costruzione dell’opera, nelle casse dello Stato arriverebbero 8 miliardi di euro, di cui 7,1 miliardi da contributi e imposte. Nei primi 30 anni di gestione, inoltre, le maggiori entrate per lo Stato raggiungerebbero i 107 miliardi di euro. Il nuovo collegamento, con una larghezza di 61 metri e due torri alte 399 metri, servirebbe un flusso di 6 milioni di veicoli l’anno e di 60.000 treni. E in aggiunta ci sarebbe l’impatto positivo per l’occupazione e per lo sviluppo dei territori coinvolti. C’è chi propone di finanziare solo parte del progetto con le risorse del Recovery e completare l’opera con i fondi strutturali, sfruttando il fondo di sviluppo e coesione o altre opportunità offerte dall’Europa come i finanziamenti destinati alle reti TEN-T.

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