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Regione siciliana, l’ombra dei fondi neri dietro la (s)vendita dei beni immobili della Spi

Di Mario Barresi |

CATANIA –  Chissà poi quale fosse la password che non si trovava. Magari – facciamo cavalcare la fantasia – sarà “tototruffa”, oppure “pinerolomonamour”. Ma alla l’hanno trovata, alla Regione, due mesi fa, la parolina magica per aprire il misterioso server con i dati del censimento degli immobili della Regione. Ci sarebbe da ridere, se invece non ci fosse da piangere. Oltre che da sospettare, con elementi ancora da verificare, che dietro a una vicenda allucinante si annidi l’ombra di fondi neri ritornati in Sicilia, magari per finanziare campagne elettorali, dopo i munifici benefit “distrattamente” elargiti da Mamma Regione a faccendieri, potentati economici e fondi esteri.

Una titanica operazione, costata – a conti fatti – circa 110 milioni di euro ai cittadini per avere una lista di 4.400 cespiti di un patrimonio il cui valore di mercato è ormai superato. Insomma, ce ne vorrebbe un altro, di censimento. Ma stavolta la Regione lo farebbe «con strutture dell’amministrazione». Così, ieri all’Antimafia dell’Ars, ha detto Gaetano Armao. Il contenuto dell’audizione, chiesta dallo stesso assessore regionale all’Economia, è stato secretato. Ma non è un segreto che in commissione si sia discusso del più clamoroso papocchio della storia recente della Regione.

L’avevamo definito «la spy story del mattone», lo strano caso della censimento milionario (dalla previsione iniziale di 13 milioni si arrivò a 81, ma fra fatturazioni e contenziosi successivi il totale sarebbe di 110 milioni) affidato nel 2007 a Sicilia Patrimonio Immobiliare, partecipata al 75% dalla Regione ma di fatto in mano, grazie anche ad alcune norme-capestro, al socio pubblico Psp Scarl dell’immobiliarista piemontese Ezio Bigotti, poi finito, fra le altre, nelle inchieste giudiziarie su Consip e Sistema Siracusa. Un contenzioso infinito, stoppato dal governo di Raffaele Lombardo (c’era Armao nello stesso ruolo oggi ricoperto con Nello Musumeci), ma senza che nessuno pagasse pegno. Né dal punto di vista penale (c’è un’indagine aperta a Palermo nel 2011), né da quello contabile, visto che – secondo quanto emerso nell’audizione – sarebbe subentrata la prescrizione sul danno erariale alla Corte dei conti.

Per approfondire leggi anche: SPI, LA SPY STORY DEL MATTONE

 

E poi la grottesca operazione della Regione che, dopo una stima fornita dal Demanio, vendette i suoi immobili (alcuni dei quali palazzi di pregio al centro di Palermo) a 1.050 euro al metro quadro, molto meno del prezzo di mercato, a un fondo che faceva capo a Pirelli Re, per poi riaffittarli al doppio del costo medio di locazione. In soldoni: dalla vendita di 33 palazzi la Regione incassò 180 milioni per poi sborsare una media di 20 milioni l’anno per le locazioni degli stessi. Fu anche Antonio Fiumefreddo, all’epoca amministratore di Spi, a denunciare quella che la Corte dei conti avrebbe definito un’operazione «assai criticabili».

Nessun colpevole, ma evidenti responsabilità diffuse. Ed è per questo che l’Antimafia regionale andrà avanti. Dopo l’audizione di Armao (che ieri ha fornito numerosi elementi utili, chiarendo inoltre i contorni della sua consulenza per l’immobiliarista Bigotti, «precedente all’assunzione di qualsiasi ruolo istituzionale», smentendo dunque qualsiasi ipotesi di conflitto d’interesse nella vicenda) saranno chiamati almeno altri due interlocutori: l’ex governatore Totò Cuffaro e l’ex ragioniere generale Enzo Emanuele.

«Un’operazione economicamente dissennata, un buco enorme e un danno emergente per la Regione», commenta Claudio Fava, presidente della commissione, che aspira a fare chiarezza sui «responsabili politici e amministrativi di questo atto di allegra generosità». Armao «ha fornito nuovi elementi per la lettura della storia e seppur gli atti siano stati secretati, non vi è dubbio che vi siano pesanti responsabilità politiche e amministrative», afferma Roberta Schillaci (M5S), che assieme ad Antonio De Luca chiede di «vedere cosa c’è dentro il famoso server» e di sentire chi lavorò al censimento. La storia non finisce qui.

E la Regione in versione “real estate” riparte. Dalle particelle catastali del censimento-truffa, che comunque l’assessore all’Economia ritiene un «database di partenza che va aggiornato nella parte relativa alle stime di mercato», da completare con personale e risorse interni. E da un nuovo piano di dismissioni: 157 fra immobili e terreni, del valore stimato in una ventina di milioni. Su input di Musumeci, che ha dichiarato guerra a «mafiosi, speculatori, opportunisti e qualche amico del giaguaro, che detengono senza titolo beni non di loro appartenenza». Ottima idea. A patto di non sbagliare password, anche stavolta.

Twitter: @MarioBarresi

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