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Liti istituzionali e “spettri”: tutti i retroscena del sì alla privatizzazione di Fontanarossa

Di Mario Barresi |

CATANIA – E dire che giovedì scorso, dopo un vertice riservatissimo al PalaRegione di Catania, la trattativa su Fontanarossa sembrava essere saltata definitivamente. Con il governo regionale deciso a dissociarsi della privatizzazione di Sac, lasciando Pietro Agen e Salvo Pogliese da soli (ma con la maggioranza di azioni) con uno strappo istituzionale molto forte. Una fumata nera. Nerissima. Un incontro fra pochi intimi, con Nello Musumeci accompagnato dai due assessori catanesi più schierati nel fronte “No Priv”: Marco Falcone e Ruggero Razza. Dall’altra parte, oltre al socio forte Agen (presidente della Camera di Commercio del Sud-Est), l’amministratore delegato di Sac, Nico Torrisi. Quest’ultimo è protagonista di un durissimo scontro con Falcone, al quale avrebbe persino rinfacciato «indebite pressioni» su alcune scelte relative alle risorse umane della società, smentite con forza dall’assessore.

Ma non è soltanto una questione personale. Sul tavolo, innanzitutto, le richieste del governo regionale su Comiso. «Presidente, abbiamo già previsto, fra piano industriale e piano di risanamento, quasi 8 milioni per Soaco», la rassicurazione degli interlocutori. Con la prospettiva che, se il Comune di Comiso non avesse la liquidità, sarà Sac a pagare tutto cash, con la prospettiva di una successiva acquisizione di un’altra parte sostanziosa del 35% detenuto dal socio pubblico. Più complicata la questione Trapani: il «no, grazie» di Sac alla proposta di mettersi in pancia anche Airgest è diventato un tiepido «vedremo che ci dice l’advisor». Ma il vero punto di scontro è quando dal governo regionale viene fuori la proposta, seppur informale, di «rivalutare l’ipotesi di quotazione in Borsa di almeno il 30% delle azioni Sac». Un’idea che avrebbe fatto andare su tutte le furie Agen, molto più che sospettoso su una soluzione identica a quella ipotizzata da precedenti gestioni di Fontanarossa. «Vogliamo tornare all’epoca di Ivan Lo Bello?», l’interrogativo che aleggia nella sede catanese della Regione. Assieme allo spettro degli «affari confindustriali» che qualcuno, nell’incontro di giovedì, attribuisce a «qualche assessore nostalgico» e a «vecchi manager rampanti». Il saluto finale è freddissimo.

Per risolvere la questione, allora, Torrisi produce uno studio parallelo: privatizzazione contro quotazione in Borsa. Mettendo il luce i vantaggi della prima opzione, fra i quali la possibilità di scegliere soci con «capacità industriali e solidità finanziaria» (senza subire il blitz di «investitori di natura finanziaria-speculativa» né l’impossibilità di «controllare l’ingresso di nuovi soci privati») e il concreto scenario, per gli attuali soci, di «ottimizzare i proventi di cessione con un premio di maggioranza». Un dossier trasmesso al governo regionale prima dell’incontro-bis di domenica sera (sempre a Catania, con gli stessi presenti), alla vigilia dell’assemblea, quando è arrivato il placet «condizionato» al voto favorevole di Irsap. «Ma prima vogliamo comunque vedere il piano industriale», la linea di compromesso pretesa da Musumeci per chiudere l’accordo.

E siamo a ieri. Il giorno del via libera. Dopo il voto unanime, la soddisfazione di Pogliese: «La privatizzazione concilia le esigenze del territorio con quelle dell’aeroporto». Anche Agen depone le armi in nome della «ritrovata unità, dopo aver chiarito alcuni fraintendimenti, verso la strada migliore». E il presidente di Sac, l’ibleo Sandro Gambuzza, si dice «entusiasta del positivo clima di coesione riscontrato nell’assemblea dei soci».

Tace, invece, Torrisi. Ma il sorriso, sollevato e un po’ beffardo, del grande tessitore di questa tela, vale più di mille parole.

Twitter: @MarioBarresi

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