«Noi non siamo contro il Reddito di cittadinanza che, anzi, è una misura giusta per chi ne ha necessità. Mi chiedo, però, una cosa: negli ultimi dieci anni il nostro settore e l’indotto hanno perso 130mila lavoratori; oggi che anche in Sicilia l’edilizia è ripartita, tutte queste persone dove sono finite? Le nostre imprese sono disperatamente alla ricerca di lavoratori specializzati, carpentieri, muratori, conduttori di macchine operatrici, e nessuno si fa avanti. Siamo fortemente preoccupati perché non c’è solo il Superbonus, c’è anche il “Pnrr” da realizzare per salvare l’Isola dal disastro».
L’allarme è lanciato da Santo Cutrone, presidente di Ance Sicilia. Lui non lo dice, ma molti imprenditori da tempo mormorano, perché anche prima del Covid molti addetti hanno lasciato i cantieri per chiedere il Reddito di cittadinanza e nel frattempo gli enti di formazione non hanno preparato le generazioni successive a svolgere mansioni sempre più tecnologiche e specialistiche. Così i mezzi pesanti restano fermi e certe lavorazioni non le sa fare più nessuno. Da parte dell’Ance Sicilia, dunque, non c’è una velleità di sollecitare controlli contro i “furbi” o addirittura di abolire la misura. Tutt’altro. C’è di peggio: la sensazione che interi territori dell’Isola con tutte le loro componenti si siano “adagiati” sul fatto che buona parte dei problemi esistenziali sono stati “risolti” (o, meglio, “rinviati”) dal Reddito di cittadinanza, dimenticando che sono lì, sotto il tappeto, pronti a riemergere in tutta la loro gravità quando il Reddito non ci sarà più: «Non è eterno», ricorda Cutrone.
Il monito, quindi, è soprattutto a chi a livello territoriale dovrebbe stimolare lo sviluppo delle piccole aree e cercare di intercettare non le mega-opere, ma i tanti rivoli di denaro che dal “Pnrr” già ora vengono messi a bando e “raccolti” dalle altre aree del Sud dove, invece, i concetti di “coesione” e “innovazione” sono molto più avanzati, ben oltre la “droga” del Rdc. E dove centri di ricerca e imprese si attivano per costruirsi da soli il futuro, senza aspettare la mano pubblica. C’è da costruire ora il futuro per il “dopo Reddito”. Ma, «se la Sicilia non sarà in grado di spendere i soldi del “Pnrr” – osserva Cutrone – la prima colpa sarà dei territori siciliani che non si coalizzano e attrezzano per partecipare ai tanti bandi di questi giorni che danno soldi, in totale 2 miliardi e 469 milioni, a chi ha idee e vuole costruire il proprio futuro senza per forza attendere che siano gli enti pubblici a farlo».
Ecco un primo elenco: «La prima mossa – osserva Cutrone – è stata quella del ministero per il Sud di finanziare con 9 milioni di euro i “dottorati comunali triennali”: comunità delle aree interne che si mettono insieme e incaricano un ricercatore di elaborare la strategia di sviluppo di quel territorio. Su 40 progetti approvati, solo tre sono arrivati dalla Sicilia. La seconda mossa è in corso, cioè il bando da 350 milioni per creare gli “Ecosistemi dell’innovazione nel Mezzogiorno”: centri di ricerca che entro il 12 novembre, con gli attori del territorio, possono candidarsi per recuperare siti dismessi e trasformarli in hub dell’innovazione a servizio delle imprese. L’obiettivo è di crearne 4 al Sud. Risulta che Campania, Puglia e Basilicata si siano già mosse, non ci sono ancora segnali dalla Sicilia. E ancora (dal Turismo, dal Mite e dalla Transizione digitale) i sistemi per monitorare i flussi turistici locali per il Digital Tourist Hub, realizzare impianti di trattamento dei rifiuti differenziati (270 milioni), dei fanghi di acque reflue (270 milioni), dei Raee (90 milioni), della carta (90 milioni), della frazione tessile (90 milioni), della plastica (90 milioni); meccanizzare la raccolta dei rifiuti (360 milioni), ottenere l’efficienza energetica dei porti (270 milioni), creare progetti pilota di digitalizzazione della mobilità urbana nelle città metropolitane, digitalizzare e internazionalizzare le imprese del Sud (480 milioni con Simest). Sommano 2 miliardi e 469 milioni. In tutto questo, i territori siciliani che fanno? Battano un colpo!».