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LA MISURA

Il “padre” della Decontribuzione Sud stronca la versione “mini” del governo Meloni: «Scippo da 4 miliardi al Mezzogiorno»

Per l'ex ministro Dem insufficienti le misure previste in manovra, ma Confindustria Catania esprime soddisfazione per la reintroduzione della norma, anche se in versione “mignon”

Di Mario Barresi |

«I numeri parlano chiaro: è uno scippo, secco, di oltre quattro miliardi al Mezzogiorno solo nel 2025». Peppe Provenzano non fa giri di parole. L’ex ministro dem, “padre” della Decontribuzione, «norma simbolo del nostro Piano 2030 per il Sud», stronca la versione “mignon” introdotta nel maxi-emendamento del governo alla manovra in discussione in commissione Bilancio a Montecitorio. Nel primo testo del disegno di legge del governo gli incentivi, difesi con forza dalle associazioni datoriali, erano stati addirittura cancellati. Poi una parziale retromarcia, salutata con soddisfazione anche dal centrodestra siciliano che aveva sollecitato a Roma il ripescaggio degli incentivi.

Ma non è più la stessa Decontribuzione Sud. La misura, nella versione originaria in vigore fino al prossimo 31 dicembre, prevede un’esenzione parziale sui contributi previdenziali per i datori di lavoro con contratti dipendenti già in essere e di nuova attivazione. Il tutto con un décalage: dal 30% di quest’anno e del prossimo al 20% per gli anni 2026 e 2027 fino al 10% nell’ultimo biennio 2028/29. L’intervento ha funzionato. Nel 2023 è stato applicato a circa due milioni di contratti per una spesa di oltre 3,6 miliardi: non solo nuove assunzioni, ma a tutti i lavoratori dipendenti delle imprese ammesse. L’efficacia della Decontribuzione Sud era subordinata a una specifica autorizzazione della Commissione Ue, che con la decisione del 25 giugno 2024 ha concesso l’applicazione della misura solo fino al 31 dicembre 2024, limitandola ai contratti stipulati entro il 30 giugno dello stesso anno. In un primo tempo il governo Meloni aveva deciso uno stop dal 1° luglio, attribuendo la brusca fine dell’incentivo alla fine degli aiuti di Stato autorizzati da Bruxelles. In realtà la proroga doveva essere negoziata dall’Italia con la Commissione. Ma non è successo. Dopo le polemiche, l’esecutivo Meloni ha mantenuto, in modo parziale (escludendo le nuove assunzioni), ancora per un semestre lo sgravio fino al 31 dicembre.

Quanto pesa Decontribuzione Sud? Il venir meno degli sgravi, che in questi anni hanno consentito alle imprese meridionali di tagliare del 30% il costo del lavoro, avrebbe messo a rischio 25mila posti di lavoro, col calo del Pil dello 0,2% e dell’occupazione dello 0,3%. I calcoli, nello scenario di cancellazione della misura, sono di Svimez che ha stimato in 5,9 miliardi il valore degli incentivi per il solo 2025.

La nuova versione

E si arriva alla mini-Decontribuzione prevista dalla nuova versione sul tavolo della commissione Bilancio a Montecitorio. Con i «numeri» a cui si riferisce Provenzano. Gli stanziamenti previsti, infatti, sono minori: 1,622 miliardi nel 2025 (oltre quattro in meno, come denuncia l’ex ministro, con il massimo dello sgravio fiscale che cala dal 30 al 25%); 1,517 miliardi nel 2026 e 1,512 nel 2027 (confermando però il 20% della norma originaria) per scendere a 1,371 l’anno successivo e a poco più di un miliardo nel 2028 (10%). Per il deputato del Pd «è l’ennesimo bluff del governo, perché in questo modo si perde tutto l’effetto che si voleva dare in origine: tutela dell’occupazione, attrazione degli investimenti al Sud e massimizzazione degli effetti su lavoratori e imprese. «Così com’è stata concepita, la nuova versione di Decontribuzione Sud è quasi inutile», dice a La Sicilia l’ex ministro siciliano.

Inoltre, nel maxi-emendamento ci sono delle modifiche che restringono l’ambito di applicazione. Il territorio resta lo stesso (le regioni del Sud e le Isole), come i soggetti esclusi (dal settore agricolo ai contratti di lavoro domestico e a chi utilizza l’apprendistato a enti pubblici economici e consorzi), con il massimale di 145 euro mensili (prima erano 163 euro) a dipendente per ogni anno, ma l’agevolazione si applica alle «micro, piccole e medie imprese», cioè fino a 250 dipendenti, e soltanto a «imprese che occupano lavoratori a tempo indeterminato».

Le associazioni datoriali

I rappresentanti delle associazioni datoriali non si sono finora espressi. Resta ottimista Franz Di Bella, vicepresidente vicario di Confindustria Catania: «La misura era stata cancellata ed è comunque un risultato da cogliere con soddisfazione, il fatto che sia stata recuperata, grazie alla sensibilità del governo nazionale e alle sollecitazioni politiche e istituzionali arrivate dal Sud e in particolare dalla Sicilia». Per Di Bella, fra i rappresentanti industriali in trincea dopo la notizia del mancato rinnovo, «adesso bisogna fare un altro passo avanti, con l’impegno trasversale di tutti i nostri rappresentanti: allargare il più possibile la platea dei nuovi beneficiari di un’agevolazione che deve continuare a portare crescita e sviluppo». A partire dunque dai contratti a tempo determinato e dagli interinali che, se non confermati con un contratto stabile (soprattutto da chi non può sforare il limite del numero dei dipendenti), rischiano di restare fuori dai benefici.

In ogni caso, adesso si deve aspettare il rush finale della manovra in parlamento. E poi, comunque, l’ultima parola spetterà a Bruxelles. Perché «l’efficacia» della nuova Decontribuzione Sud, si legge nel testo governativo, è «subordinata» all’autorizzazione della Commissione Ue e «sospesa fino alla data di adozione della decisione».

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