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Il lavoro da casa e il ritorno in Sicilia: il controesodo dei southworkers

Di Paola Lo Mele |

ROMA – «Benvenuti al Sud». ll remake del film francese «Bienvenue chez les Ch’tis» potrebbe diventare lo slogan del controesodo, ancora agli albori, messo in moto dallo smartworking. Con la pandemia e il conseguente ricorso massiccio al lavoro agile, diversi italiani hanno deciso di lasciare le metropoli per centri più piccoli, dove vivere più a contatto con il verde o semplicemente tornare nelle città natali del Mezzogiorno.

A raccogliere, dal mese di giugno, tante testimonianze è la community South Working che conta su Facebook già oltre duemila iscritti. Silvia Salmeri, 34 anni, che dal centro di Bologna si sta per trasferire insieme alla sua famiglia in una cittadina sul mare in provincia di Catanzaro. «Il nostro bimbo è nato in pieno lockdown e ci siamo trovati chiusi in 40 metri quadrati. E’ stata la spinta finale per trasferirci in un luogo dove potremo avere una migliore qualità della vita a costi minori», racconta.

Lei lavora nel turismo e continuerà a farlo in modalità smart: «Sono nata e cresciuta a Bologna, so cosa lascio, ma in questo momento storico è la scelta migliore». Roberto Ceravolo, 34 anni, manager in una nota compagnia di telecomunicazioni, invece, in Calabria ci si è già trasferito da qualche mese. Milanese di adozione, ha sfruttato lo smartworking per tornare a casa: «L’azienda ha agevolato il lavoro agile e molti di noi ora lavorano dal sud».

Ha dovuto macinare più chilometri Margherita Gambino, programmatrice web di 28 anni che, dopo aver studiato e vissuto per 5 anni in Olanda, da maggio è tornata in Sicilia. «Ho chiesto al mio team se potessi rientrare in italia prima del lockdown e poi sono rimasta. La mia compagnia ha messo fin da subito al primo posto il benessere di noi impiegati e un’eccezione come la mia è stata inizialmente compresa e supportata, infine regolarizzata. Sono tornata a Palermo per stare con miei genitori. In tanti ci troviamo costretti a lasciare la Sicilia perché non c’è lavoro, sapendo di essere “cervelli in fuga”. Ora torno a combattere dove ci sono le mie radici».

Ma le esperienze sono le più diverse: c’è chi opta per spostamenti temporanei, chi ha “allungato” le vacanze continuando a lavorare dal luogo di villeggiatura e chi pianifica una fuga permanente. Fatto sta che qualcosa si muove e potrebbe nascerne un nuovo modo di abitare l’Italia.

In questo contesto, l’obiettivo del progetto South Working e dell’omonima associazione no profit è «studiare il fenomeno dello smart working localizzato in una sede diversa da quella del datore di lavoro, in particolare del Sud d’Italia e d’Europa, con i suoi pro e contro; aiutare lavoratori che vogliano intraprendere questa modalità di lavoro; formulare delle proposte di policy». Fondata a marzo, dopo l’irrompere della pandemia, l’associazione è stata promossa da giovani che lavorano «dove desiderano vivere» aderendo al «movimento internazionale Work From Anywherè».

Secondo l’Istat nel 2019 – prima del Covid – lavoravano da casa non più di 1,3 milioni di persone. La pandemia ha cambiato le carte in tavola. Le stime dell’Istituto ora indicano una platea di potenziali smart worker che da 7 milioni può arrivare fino a 8,2.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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