I dazi di Trump e l’export della Sicilia: quanto incide e quali sono i settori più “esposti”

Di Fabio Russello / 03 Aprile 2025
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I dazi imposti dall’Amministrazione Trump colpiranno almeno il 10% di tutto l’export siciliano: la regione – secondo i dati di Confindustria – esporta prodotti per complessivi 6,8 miliardi, circa 700 milioni dei quali verso gli Stati Uniti (ma ad esempio secondo il centro studi del pd l’esposizione è di 1,2 miliardi). E si tratta di dazi che vanno a colpire non solo il dato complessivo dell’export che soffre, soprattutto per il calo del petrolifero, ma anche e soprattutto il settore dell’agroalimentare. Come ha raccontato Luisa Santangelo nei giorni scorsi su La Sicilia in un reportage c’è ad esempio Mario Melodia, ad della Cep, una società della provincia di Trapani che produce cabine elettriche prefabbricate, la sua azienda dipende per il 50 per cento dalle commesse statunitensi: «Quando Trump si insediò per la prima volta. Ci fu una sorta di rimbalzo con un forte aumento di ordini nei primi sei mesi, proprio per paura dei dazi perché in alcuni settori gli americani non possono fare a meno della nostra tecnologia. Anche stavolta ci aspettiamo un fenomeno simile con un primo periodo di boom di esportazioni verso gli Usa». Sì, e dopo?

Le risposte della politica

«La questione dei dazi doganali rispetto a quello dell’internazionalizzazione è un tema che stiamo affrontando per comprendere in che direzione andare – ha detto l’assessore regionale alle Attività produttive, Edi Tamajo, intervenendo a un incontro sulle prospettive di sviluppo della Sicilia al dipartimento Lumsa di Palermo -. Si parla spesso di internazionalizzazione e le fiere per noi sono momenti importanti in cui si creano le condizioni di contatti e relazioni. In virtù di quanto sta accadendo stiamo puntando ai mercati orientali». Gli ha fatto eco Elvira Amata, assessore regionale del Turismo, Sport e Spettacolo: «Si analizzerà la decisione presa da Trump sui dazi e chiaramente, in merito a questo, bisognerà prendere della contromisure da mettere in campo. Bisogna salvaguardare l’economia italiana e siciliana. L’analisi della situazione va fatta a trecentosessanta gradi dal governo – prosegue – il presidente Schifani, in primis, insieme a noi assessori, per cercare di capire come si può contrastare questo sistema che si sta mettendo in campo. Il nostro obiettivo è sempre la Sicilia, i siciliani e le imprese. La nostra economia cammina proprio sulle gambe delle piccole e medie imprese. Le nostre fondamenta sono rappresentate dall’agricoltura e dal turismo – conclude – quindi è chiaro che si metteranno in campo delle misure per continuare a sostenere questi settori, che sono quelli che creano sviluppo economico e generano anche occupazione».

La stima del Pd: noi esposti per 1,2 miliardi

«I dazi di Trump metteranno in ginocchio l’economia della Sicilia, che è la seconda Regione del Sud maggiormente esposta rispetto alle misure varate dal Presidente Usa. L’export dell’isola verso gli States è infatti superiore a 1,2 miliardi di euro ed ha registrato aumenti considerevoli negli ultimi anni, in particolar modo nel settore agroalimentare e manifatturiero» ha avvertito la deputata Pd Maria Stefania Marino. «Appare evidente che le ripercussioni in termini occupazionali potrebbero essere enormi, aggravate peraltro dalla complessità di territori marginali dove la ricollocazione della forza lavoro subisce limiti evidenti. Il Governo Meloni, palesemente diviso rispetto alle azioni da mettere in campo per salvare le nostre imprese, sta compromettendo la crescita economica della Sicilia»

L’ansia Assovini

A poche ore dalla decisione del presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump sui dazi, emerge la preoccupazione delle aziende siciliane del settore del vino. «Siamo in ansia per l’annuncio del presidente Trump sui dazi che potrebbero colpire anche il settore agroalimentare. Il Nord America, in particolare gli Stati Uniti, rappresenta un mercato di consumatori importante per le nostre aziende, sia in termini di valore che di volume» ha detto la presidente di Assovini Sicilia, Mariangela Cambria. «La sospensione degli ordini da parte degli importatori americani ha generato molte preoccupazioni e incertezze nelle nostre aziende, alcune delle quali registrano il 100% del fatturato legato esclusivamente all’export – continua Cambria – Questa guerra commerciale si può e deve gestire con un attento lavoro politico-diplomatico tra l’Europa e gli Stati Uniti, che valorizzi l’importanza economica e culturale del Made in Italy oltreoceano». L’Europa si conferma però il principale mercato di esportazione, per il 95.7% delle imprese, sottolineando la forte integrazione del vino siciliano nel continente. Segue il Nord America per l’82.6% delle imprese sottolineando l’interesse per vini di qualità e autenticità. I dazi Usa preoccupano molto anche i produttori dei vini Etna Doc, «sia perché l’Etna sta attraversando un periodo di grande dinamismo e in forte crescita, ma anche perché negli Usa rappresentano il primo mercato export per i vini Etna Doc» ha detto Maurizio Lunetta, direttore del consorzio Vini Etna Doc.

Le conseguenze sull’olio di Sicilia

La produzione di olio d’oliva rappresenta un’eccellenza del Made in Italy. In un mercato internazionale dominato dai paesi affacciati sul Mediterraneo, l’Italia è il secondo produttore ed esportatore mondiale, molto distante dalla Spagna, leader mondiale, e insidiata dalla crescente concorrenza turca. La raccolta di olive da olio nel corso del 2024 ha superato i 2,6 milioni di tonnellate, la produzione di olio le 390 mila tonnellate. L’export di olio d’oliva si avvicinerà alle 300 mila tonnellate e ai 3 miliardi di euro.

Gli effetti dei dazi sul made in Italy

I dazi di Donald Trump rischiano di costare caro all’Italia. Proprio la forza del made in Italy negli Stati Uniti, dove vengono realizzate oltre il 10 per cento delle esportazioni nazionali, potrebbe trasformarsi in un boomerang. L’Italia è, secondo molte analisi, tra i Paesi europei più esposti alla stretta commerciale annunciata da Washington, insieme alla Germania.

L’export italiano negli Usa ha superato i 64 miliardi di euro nel 2024, secondo l’Osservatorio economico sui mercati esteri del Governo, con una crescita di oltre il 42% dal 2019 e un leggero calo rispetto al 2023. Tra i Paesi europei, solo la Germania esporta di più.

Le imprese vulnerabili

Le imprese più a rischio, secondo l’Istat, sono 3.300 aziende che risultano «vulnerabili» rispetto agli Stati Uniti. Vendono soprattutto prodotti farmaceutici, prodotti meccanici come turboreattori e turbopropulsori, gioielleria, cibo, vino, olio e mobili.

I settori più esposti

Il Centro studi Confindustria segnala che i settori dove le esportazioni americane pesano di più sono quelli delle bevande (negli Usa il 39% dell’export extra Ue), gli autoveicoli (30,7%), gli altri mezzi di trasporto (34%) e la farmaceutica (30,7%). Secondo la Svimez, in caso di dazi al 20% l’agroalimentare, il farmaceutico e la chimica, rischiano una perdita delle esportazioni tra il 13,5 e il 16,4%. Moda e mobili si difenderebbero meglio, e andrebbero incontro a un -2,6%. La Coldiretti indica, solo per il vino, costi di 6 milioni al giorno per le cantine italiane.

I teritorio più coinvolti

Le regioni potrebbero essere colpite in modo differenziato dalle nuove tariffe. Per la Liguria, la Campania, il Molise e la Basilicata, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato di sbocco. Mentre, in assoluto, sono Lombardia, Emilia Romagna e Toscana le regioni con più vendite oltreoceano (dati Istat 2023). Secondo la Cgia di Mestre, le regioni del Mezzogiorno – in particolare Sardegna, Molise e Sicilia – sarebbero le più a rischio, a causa della scarsa diversificazione delle loro esportazioni.

L’impatto complessivo

Nei mesi scorsi, alcune analisi hanno stimato quale potrebbe essere il possibile impatto di nuovi dazi statunitensi, in attesa di conoscere le misure effettivamente adottate. Svimez ha calcolato che dazi al 10% su tutti i prodotti porterebbero a un calo del Pil italiano dello 0,1%, una perdita di 27 mila posti di lavoro e una riduzione del 4,3% dell’export. Nel caso di dazi al 20%, l’impatto sarebbe sostanzialmente il doppio. Una simulazione di Prometeia calcola un possibile costo per l’economia italiana tra i 4 a i 7 miliardi di euro, nelle ipotesi di un aumento dei dazi di 10 punti percentuali solo sui prodotti già sottoposti a tariffe o di una stretta analoga generalizzata.

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Fabio Russello