Riforma del fisco, ammortizzatori, pensioni: parte già con un menù ben definito la preparazione della prima manovra targata Draghi-Franco, che dovrà anche dare seguito all’impegno di prorogare il Superbonus al 110% per le ristrutturazioni green fino al 2023. Al solito le proposte dei partiti prefigurano interventi da almeno 15-20 miliardi ma sul piatto al momento ce ne sono 4-5 già a bilancio e pochi margini per agire in deficit, visto il maxi-debito già accumulato in un anno e mezzo di emergenza Covid.
Su come superare la fine di quota 100 governo, partiti e parti sociali sono ancora in alto mare. Al ministero del Lavoro ci sono stati solo due incontri preliminari che non sono entrati nel merito ma la sensazione che circola negli ambienti della maggioranza è che si stia valutando di fare «non molto», solo qualche aggiustamento.
Anche perché il grosso delle risorse dovranno andare agli ammortizzatori: la riforma della cassa integrazione è quella a uno stadio più avanzato, con lo schema messo a punto dal ministro Andrea Orlando condiviso con le parti sociali in un ultimo incontro prima della breve pausa estiva. L’intervento punta a dare a tutti i lavoratori una copertura nei momenti di difficoltà dell’impresa o nei passaggi da un impiego all’altro, compresi autonomi e precari. Il nodo però è quello delle risorse: le piccole e micro imprese, che più hanno subito la crisi, non si vogliono caricare di extracosti che lo Stato però potrebbe accollarsi – nel documento presentato alle parti sociali – solo nei primi tre anni di transizione, mentre la riforma entra a regime. Già così servirebbero tra i 6 e gli 8 miliardi e la necessità di copertura può variare in base a come vengono rimodulate le addizionali a carico delle aziende (per settore e dimensione delle attività). A disposizione per ora c'è un miliardo e mezzo ricavato dalla sospensione del Cashback per il secondo semestre del 2021. Sempre con la manovra bisognerà decidere se cancellare del tutto il programma o farlo ripartire magari rivedendo i campi di applicazione.
Anche per il fisco c'è già una mini-dote da 2-3 miliardi, quelli che resteranno nell’apposito fondo creato con la scorsa manovra per finanziare anche l’assegno unico per i figli, che andrà a regime dal 2022. Per abbassare le tasse in modo percepibile, però, servirebbero almeno una decina di miliardi, intervenendo per ammorbidire il passaggio al terzo scaglione per il ceto medio, che oggi sconta un salto di 11 punti (dal 27% al 38%) per i redditi tra i 28mila e i 55 mila euro. Che sia quello il punto della curva dell’Irpef su cui intervenire tutti d’accordo, sul come le distanze tra i partiti restano quelle di sempre, tra riduzione del numero di aliquote (caro al M5S) e introduzione dell’aliquota continua alla tedesca (che piace a Leu e anche al Pd). E visto che i fondi non sono sufficienti c'è chi, come Italia Viva e la Lega, spinge per utilizzarli subito per cancellare l’Irap su professionisti e aziende individuali e assorbire il resto dell’imposta nell’Ires, mentre Forza Italia guarda anche agli incentivi per indirizzare il risparmio che va nell’economia reale, a partire dal rafforzamento dei Pir.
La sintesi politica ancora non c'è, e il disegno di legge delega per la riforma, annunciato inizialmente per luglio, è slittato a settembre. D’altronde quando è intervenuto in Parlamento sul fisco, Franco ha chiarito che per sapere quante risorse ci saranno a disposizione bisognerà aspettare la fine del mese, con la revisione delle stime nella Nadef: certo aiuta il rimbalzo del Pil che ha superato le attese e fa dire ad alcuni previsori, come l’Upb, che nel 2021 si potrà arrivare a sfiorare il 6% (4,5% era la previsione prudente del Def di aprile). Ma il quadro è ancora incerto e legato a doppio filo all’evoluzione della pandemia, quindi è ancora presto per dire quanti margini ci saranno. E in ogni caso ci saranno pochi margini per manovrare l’indebitamento, visto i 140 miliardi di extradeficit accumulati finora.