Prima il Covid, poi l’inflazione, entrambi grandi fenomeni che hanno accelerato il passaggio a nuove abitudini di consumo, sempre più spesso concentrate online. Negli ultimi anni lo shopping degli italiani ha cambiato forma, costretto dalla pandemia e dalla successiva impennata dei prezzi, e a farne le spese sono stati migliaia di negozi, a partire da quelli di abbigliamento, obbligati in non pochi casi anche a chiudere i battenti. Secondo la fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere, tra il 2019 e il 2023 il numero di negozi di abbigliamento è diminuito di oltre 9mila unità, attestandosi al 30 settembre scorso leggermente al di sopra dei 78.000 esercizi commerciali.
Il bilancio tra aperture e chiusure di attività nel commercio di articoli di abbigliamento in esercizi specializzati è quantificabile in una riduzione di quasi l’11% dei negozi. La frenata ha inciso pesantemente sulle imprese individuali (il 53% del totale del comparto) che, per il periodo in esame, hanno fatto registrare una diminuzione superiore al 12% (quasi 6.000 unità in meno in termini assoluti). Una dinamica, secondo l’associazione delle Camere di commercio guidata da Andrea Prete, che riflette anche la forte crescita del commercio online, con sempre più italiani che fanno i loro acquisti sulle apposite piattaforme dedicate. E che ha spinto persino la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ad intervenire proprio ieri sul tema di fronte alla platea di Confesercenti, assicurando che «nessun colosso del web potrà mai sostituire la funzione culturale e sociale che ricoprono commercianti e artigiani».
Le vetrine illuminate stanno però progressivamente lasciando spazio alle saracinesche abbassate praticamente ovunque in Italia. Ad eccezione di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, dove si conta una variazione negativa in termini percentuale più contenuta, in tutte le altre Regioni del Centro-Nord, a partire da Lazio, Marche, Toscane e Friuli Venezia Giulia si registrano perdite superiori al 10%. Lazio, Lombardia e Toscana sono invece le Regioni in cui la contrazione degli esercizi appare maggiore in termini assoluti: le tre Regioni, infatti, determinano quasi la metà della variazione negativa registrata a livello nazionale (-4.272 attività nel periodo in esame, pari al 46% del totale).
A livello provinciale, le variazioni percentuali più importanti si registrano al Centro-Nord: a Roma, Ancona, Ferrara e Rieti per il commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento si contano diminuzioni superiori al 20% nell’arco dell’intero periodo considerato. Qualche nota positiva arriva dal Sud, dove Crotone, Ragusa e Siracusa sono le uniche province in cui la variazione di attività dell’abbigliamento nel quinquennio è positiva, rispettivamente con +1,6% e +0,5% per le due città siciliane. Il declino nei cinque anni esaminati ha interessato fortemente le componenti femminili e giovanili. E’, rispettivamente, di oltre 4.700 e 2.500 negozi la perdita registrata nel settore in termini assoluti, corrispondente ad una variazione percentuale negativa pari al 10% per le imprese “rosa» e di oltre il 26% per quelle under35.