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Come fermare l’“emorragia” di giovani dalla Sicilia? Ecco una ricetta possibile

Di Andrea Lodato |

CATANIA – Un po’ di ottimismo. Un po’ di fiducia. Un po’ di coraggio, anzi molto coraggio. E una benedetta progettazione, politica e imprenditoriale, seria, concreta e chiara. Se partiamo da questi elementi e diamo per scontato che si debba produrre uno sforzo per metterli in cassa per poterli utilizzare, i giovani che continuano ad andare via dalla Sicilia potrebbero anche cominciare a tornare. E quelli che stanno meditando di andarsene per studiare in università di altre regioni d’Italia o in giro per l’Europa, potrebbero anche trovare qualche motivazione per restare. Diciamo per provare a restare, per pensarci su, quanto meno, senza sentirsi di fatto quasi obbligati per costruirsi un futuro a fare le valigie e diventare “cervelli in fuga”.

Ripartiamo, allora, dalle analisi che sono emerse dal recente forum fatto in redazione sulla Sicilia che verrà nel prossimo decennio. Dal presidente della Regione, Nello Musumeci, al Ceo della Sibeg di Catania, Luca Busi, al presidente di Coldiretti Sicilia, Francesco Ferreri dell’Anguilla, sino a Piero Mancuso, fondatore dei Briganti di Librino, per tutti gli ospiti il tema conduttore è stato quello del «fermare l’emorragia di giovani che se ne vanno dall’Isola».

Ovvio, perché ogni giovane che se ne va rappresenta il sacrificio e la dispersione, in qualche modo, dell’investimento economico fatto dalle famiglie per la formazione e per la crescita del ragazzo. Un peccato, insomma. L’emigrazione in corso è massiccia, come ha confermato qualche mese fa la Flc Cgil Sicilia, durante il congresso regionale dell’organizzazione, richiamando i dati dello studio “Scuola e università: la grande emigrazione degli studenti siciliani”, curato da Roberto Foderà, docente presso il Dipartimento di Giurisprudenza della Lumsa di Palermo, realizzato dal Centro Studi della Cgil Sicilia.Dati impietosi, da ricordare. Intanto migliaia di giovanissimi ancora in età scolare lasciano l’Isola al seguito delle loro famiglie, costrette ad emigrare a causa della mancanza di lavoro. Poi i numeri dicono che rispetto all’anno accademico 2016/17, nel 2018 appena finito c’è stato un calo della popolazione universitaria di oltre 8.000 iscritti. E poi il dato di chi sceglie università fuori dalla Sicilia: su un totale di 155.271 studenti, infatti, 14.248 studiano negli atenei del Nord Ovest, 8.945 in quelli del Nord Est, 19.210 in quelli del Centro e 7.010 negli altri atenei del Mezzogiorno. Cosa fare, allora? In che percentuale debbono interagire ottimismo, fiducia, coraggio e quella progettazione politica e imprenditoriale che sono le precondizioni essenziali per provare ad invertire il trend?

 

Per Graziamaria Pistorino, segretaria generale della Flc Cgil Sicilia, bisognerebbe cominciare a fermare non l’emorragia dalle scuole e dalle università siciliane verso quelle di altre regioni, ma proprio l’abbandono totale. «Abbiamo un tasso di dispersione scolastica elevatissimo e, ovviamente, molto preoccupante. Bisognerebbe cominciare a fare interventi concreti per arginare questo fenomeno, che interessa in maniera particolare le aree più a rischio e disagiate delle nostre città. La dispersione è il primo problema, direi. Ma per condurre un’azione energica, una terapia forte per frenare anche la problematica legata all’emigrazione dei nostri ragazzi, la politica deve impegnarsi seriamente sulla questione del tempo pieno nelle scuole e della qualità che viene offerta. E parlo di scuola e parlo, naturalmente, di università».

Sulla questione del tempo pieno, che vuol dire studiare meglio, vivere di più la scuola intesa come famiglia-istituzione, ovvero agenzia formativa ed educativa, ci sono dati sempre più sconfortanti: se in Italia la media del tempo pieno nelle scuole è del 33% e se in regioni di Emilia Romagna e Lombardia la media è del 48% con punte del 99%, in Sicilia siamo fermi, inchiodati e mortificati al 7%.

«Follia e vergogna – dice la Pistorino – tanto più se si pensa che il governo ha stabilito che per tutta l’Italia ci saranno appena 1.000 posti nuovi per il tempo pieno. Cioè se, per ipotesi, tutti e 1.000 fossero destinati alla Sicilia, non basterebbero nemmeno ad avvicinarsi alla media nazionale».

E altrettanto importante, strategico per il presente e per il futuro, sarebbe potere garantire una scuola e una università di qualità. «I ragazzi inseguono la qualità in università di altre regioni, per questo spesso se ne ne vanno. I nostri atenei, che sono antichi, che sono spesso prestigiosi e che hanno anche corsi di eccellenza, hanno pagato un prezzo altissimo negli ultimi dieci anni ai tagli imposti dalla ministra Gelmini nel 2008. Si sta piano piano recuperando. Penso a Catania che dopo un crollo di iscrizioni, da un po’ di tempo fa registrare un recupero. Stessa cosa accade a Messina. Quel taglio ai fondi ordinari di finanziamento è stato micidiale. Bisogna recuperare, subito, bisogna restituire forza e competitività alle nostre Università, alla ricerca e alla formazione. Purtroppo la Finanziaria appena varata prevede soltanto tagli al comparto della conoscenza, niente assunzioni per l’Università. E senza risorse diventa tutto molto difficile».

E’ a quel punto che non basterebbero più ottimismo, fiducia e coraggio. Nemmeno una riserva di una tonnellata di coraggio.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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