C’è anche una Sicilia che non si arrende al Covid e che anzi fa ancora affari

Di Redazione / 14 Aprile 2020

PALERMO C’è chi ha raddoppiato il fatturato nell’asset, chi è riuscito a salvare il posto a qualcuno dei propri dipendenti pur dovendo fare ricorso alla cassa integrazione per gli altri, c’è chi con gli incassi soprattutto nei week-end riesce a pagare l’affitto del locale: sono le attività che in Sicilia in pieno lockdown per l’emergenza Covid-19 sono state autorizzate a rimanere aperte fornendo cibo da asporto, pizza compresa.

Si tratta di ristoranti, bar, pasticcerie, pizzerie. E si scopre, leggendo una indagine della Cgia di Mestre, che nell’isola sono un bel po’: 4.499. Addirittura per numero di attività aperte la Sicilia è al top nel Mezzogiorno, mentre nel Paese è dietro soltanto alla Lombardia (ne ha 7.004) e all’Emilia Romagna (4.672). Più indietro il Veneto con 4.072, il Lazio con 3.796 e la Campania con 3.519.

«Grazie ai servizi a domicilio che forniamo con i nostri rider o avvalendoci dei servizi del socialfood siamo riusciti a rimanere sul mercato, nonostante le forti perdite permangano – dice un noto imprenditore di Palermo – Peccato che il governo Musumeci nei giorni di Pasqua e pasquetta abbia vietato le consegne a domicilio, sarebbe stata un’occasione per fare qualche incasso in più». Scelta criticata anche dalla segretaria della Filcams-Cgil di Palermo, Monia Cajolo: «Non l’abbiamo compresa, se l’autorizzazione vale per l’intera settimana non si capisce perché è stata ‘sospesà proprio nei giorni in cui ci sarebbe stata magari una richiesta maggiore, era un modo per sostenere chi è già in difficoltà finanziarie».
E i numeri del cibo d’asporto, ne sono convinti gli operatori, potrebbero crescere anche quando le misure di contenimento saranno allentate, «perché ci vorrà tempo prima che la gente riprenda le vecchie abitudini e superi la paura del contagio», dice il pizzaiolo Andrea. 

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Tag: cgia mestre cibo d'asporto coronavirus sicilia