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LO SCENARIO

Catania, il progetto di privatizzazione di Fontanarossa tra gli appetiti dei colossi e la “faida” alla Regione

La Sac fa gola a molti, ma la prima mossa toccherà a Schifani che blinda Torrisi. L’asse fra FdI e Mpa (ma non solo) per il “ribaltone”

Di Mario Barresi |

Il sillogismo, più che aristotelico, è in stile Catalano a Quelli della notte: chi comanda la Camera di Commercio del sud-est è il padrone di Fontanarossa. Un’ovvietà numerica, prima che una deduzione politica: l’ente detiene oltre il 60% di Sac. Ed è per questo che il pressing per rinnovare i vertici camerali, chiudendo il regime commissariale, è finito sul tavolo dello scorso vertice del centrodestra siciliano. Con una doppia esplicita istanza a Renato Schifani: di Raffaele Lombardo e Salvo Pogliese.

La posta in gioco è chiara. Il socio forte avrà il pallino della privatizzazione. Oggi saldamente in mano al governatore, che, oltre a CamCom, controlla, tramite i commissari, anche Irsap e, fino alle elezioni del prossimo 15 dicembre, l’ex Provincia di Siracusa. In tutto quasi l’85% delle quote. Un dominio assoluto su Catania, ma anche su Comiso, per cui c’è un maniacale interesse presidenziale sul cargo.

«Oggi tutti i più grossi aeroporti d’Italia sono privatizzati e funzionano», la linea più volte ostentata da Palazzo d’Orléans. Dove, dentro il cassetto, c’è da tempo (sin dal lustro di Nello Musumeci) il sogno di una società siciliana, aperta ai capitali privati, che gestisca Catania-Comiso, ma anche Palermo e Trapani. Ma se la Regione controlla il 99,93%, a Punta Raisi non possiede una sola delle 1.294.289 quote di Gesap, salda nelle mani di Roberto Lagalla. E non è detto che la mega-società non decolli: l’idea circola in ambienti meloniani, col potente sottosegretario Galeazzo Bignami sul dossier e la golosa prospettiva di avere per tutti gli aeroporti siciliani un unico partner privato gradito a Palazzo Chigi.

Per ora si gioca sulla pista di Fontanarossa. E la questione non è se aprire ai privati. Piuttosto: quando, quanto, come e, soprattutto, a chi. Nell’interpellanza di Anthony Barbagallo al ministro Adolfo Urso si citano «indiscrezioni relative a incontri in un famigerato studio milanese che avrebbe legami con alcuni politici di centrodestra». Da fonti dem si scopre che il riferimento è a Tiziana Miceli, moglie dell’ex ministro Angelino Alfano, oggi top manager che, fra gli altri prestigiosi incarichi, è presidente del Gruppo San Donato, sbarcato in Sicilia per far risorgere la cardiochirurgia pediatrica al Civico. Ma, al netto della secca smentita di Sac, non risulta che l’avvocata Miceli, giovane praticante nello studio milanese Rubino-Sammartano, abbia uno studio sotto la Madonnina.

Potenziali clienti

A Fontanarossa i potenziali clienti non mancano. L’elenco che circola comprende quasi tutti i colossi del settore: da Mundys, ex Atlantia, holding dei Benetton che ha già in pancia gli aeroporti di Roma e Nizza, a Corporación América dell’argentino Eduardo Eurnekian, gestore di una cinquantina di scali in tutto il mondo fra cui Firenze e Pisa, fino a Save (Venezia, Verona, Treviso e i cargo a Brescia), senza dimenticare il fondo F2I, azionista forte di Linate e Malpensa, Napoli-Salerno, Torino e Olbia; e infine Adp, Aeroports de Paris, che fra i soci più attenti agli affari siciliani ha il gruppo Royal Schiphol, gestore ad Amsterdam.Dai voli pindarici dei colossi bisogna però atterrare sugli equilibri politici locali. Schifani, ovviamente, vuole restare nella cabina di pilotaggio. E magari non avrà alcuna fretta di rinnovare i vertici camerali che oggi rispondono a lui. Come anche Nico Torrisi, stimato ai piani altissimi di Enac, difeso con pervicacia anche nei giorni neri dell’incendio della scorsa estate. Fra Schifani e l’amministratore delegato di Sac c’è un patto di ferro. Non è un caso che, nel giorno in cui era annunciato alla kermesse di Fratelli d’Italia a Brucoli, il governatore, dopo aver presenziato alla festa del Coni con Mattarella, sia rimasto a Catania per cenare all’hotel Baia Verde, dove s’è trattenuto fino al pranzo dell’indomani.

A proposito: proprio in FdI si annoverano i più convinti sostenitori del cambio di guardia a Fontanarossa. Pogliese, pur lealista durante la sindacatura, ora s’è schierato in veste di coordinatore regionale. Interpretando un sentimento diffuso nel partito etneo: da Manlio Messina (che pure fu il tramite di Torrisi per la riconferma poi “vistata” da Musumeci) a Ruggero Razza e soprattutto Gaetano Galvagno. Che potrebbe replicare anche per la CamCom, e quindi per l’aeroporto, la stessa alleanza politico-imprenditoriale con cui ha deciso le sorti confindustriali sotto il Vulcano. In questo scenario circola già il futuribile assetto: Antonello Biriaco, ex presidente di Confindustria Catania, al vertice camerale; «un manager d’area di altissimo profilo» ad di Sac; e magari la presidenza riservata alla rivalsa di Pietro Agen, ex garante dello stesso Torrisi.

Del resto, leggendo l’atto di Barbagallo, tornano letteralmente le parole di un recente monito social del leader di Confcommercio, che, nel denunciare «intollerabili ritardi» sulla privatizzazione, parla di «una bufera sul prodotto in vendita, senza che una sola voce si alzi». Agen conta di avere gli stessi numeri con cui fu eletto presidente camerale per poi incoronare l’allora pupillo Torrisi. Magari in un clima politico favorevole: a partire da Lombardo, lesto a piazzare Marco Romano nell’attuale cda, ora fan del ribaltone in quello che definisce «l’aeroporto di Acireale», evocando l’influenza del forzista Nicola D’Agostino. Ma il capofila, magari con idee diverse sui nomi da piazzare, dev’essere FdI. Perciò si aspetta con una certa curiosità la risposta del ministro Urso (impaziente nel definire «assolutamente necessario privatizzare gli aeroporti siciliani», per «trasformarli da problemi in opportunità») all’interpellanza di Bargagallo. L’asse FdI-Mpa, col leghista Luca Sammartino finora spettatore disinteressato (più per fedeltà a Palazzo d’Orléans che per convinzione), potrebbe diventare trasversale, almeno nella pars destruens: alleati, più o meno inconsapevoli, il Pd dialogante con Agen e la parte di M5S vicina Fabio Scaccia, ex consigliere Sac ed ex amico di Torrisi.

Ma la prima mossa, ora, tocca a Schifani. Fino a che punto sarà disposto a firmare la dichiarazione di guerra (dei cieli siciliani) mettendosi quasi tutti contro?

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