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«Sicilia isola di fulgente bellezza» nel nome di Allah e di Al Idrisi

Nel XI secolo il geografo arabo il suo viaggio nell'isola sotto la protezione di Re Ruggero II realizzando un Atlanta pietra miliare della geografia moderna

Di Lorenzo Rosso |

«Nel nome di Allah, clemente, misericordioso e mio soccorritore». Con questa particolare premessa, nel 1138 il geografo arabo Al Idrisi si accinse, ospite alla corte Normanna di Palermo, a dare inizio a quella che resterà tra le più grandi opere geografiche fino ad allora esistenti, con descrizioni particolareggiate di viaggi nel mondo allora conosciuto, soprattutto in Sicilia e lungo la costa meridionale dell’agrigentino.

Al Idrisi, conosciuto come Edrisi, nato a Ceuta, in Marocco nel 1099, anno 493 dell’Egira, discendente da una nobile famiglia, dopo aver compiuto gli studi nelle più prestigiose scuole arabe di Cordova, all’epoca il primo centro culturale dell’Islam in Occidente, viaggiò a lungo in Sicilia e nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, recandosi in seguito anche in Africa e in Asia Minore. Fin quando approdò alla corte di un re cristiano, Ruggero II, per dare vita alla sua carta geografica delle terre allora conosciute, la celebre “Charta Rogeriana”.

L’opera scientifica di Al Idrisi è il frutto di oltre quindici anni di viaggi e di intenso lavoro sotto la costante collaborazione dello stesso Re Ruggero, il vero grande ispiratore dell’Atlante, che partecipò anche nei dettagli alla compilazione sia della Charta che del Libro a lui dedicato.

Il geografo, nella stesura, stabilì, in ossequio ad una sura, la suddivisione del territorio in settanta capitoli, dieci per ognuno dei “sette climi”, fedele al riferimento coranico delle sette terre, dei sette mari e dei sette cieli, anziché attestarsi sulla vecchia suddivisione delle 21 zone precedentemente disegnate dal matematico alessandrino, Claudio Tolomeo.

In particolare la descrizione della Sicilia, che Al Idrisi definisce «famosa isola di fulgente bellezza», rimarrà una testimonianza assolutamente inedita per quei tempi e punto di riferimento per i viaggiatori che vi giungevano da ogni parte.

La Sicilia, nel viaggio di Al Idrisi alla scoperta del mondo conosciuto, è posta, assieme alle Isole, nel “quarto clima”, che comprende un settore del mar mediterraneo ed una parte dell’Italia.

Partendo da Palermo il geografo arabo racconta del suo lungo viaggio costeggiando le coste da Messina a Catania a Girgenti, passando per Licata «un castello – scrive di quest’ultima città nel suo diario di viaggio il geografo arabo – edificato sulla sommità di una rupe circondata dal mare e da un fiume, di modo che non si accede che da un’unica porta a settentrione. E’ dotata di un porto frequentato dalle navi che vi giungono per caricare merci. Il paese ha una considerevole popolazione, un mercato ed un vasto circondario con fertili terre da semina. Il fiume che sbocca nel mare di Licata si chiama Salso, che abbonda di pesci saporiti, grassi e di gusto delizioso».

Di quella che era Agrigento, mille anni fa, invece, scriverà: «Ad una giornata da Licata, ossia a venticinque miglia, è situata Girgenti, città molto fiorente da annoverare fra le metropoli più illustri, animata da un continuo andirivieni di gente. Robusta ed alta la rocca, ridente la città che è di ben antica civiltà e di fama universale, Girgenti è una delle più imponenti fortezze e paese fra i più eccellenti; la gente vi accorre da ogni parte, qui si raccolgono le navi, qui convergono le brigate. I suoi palazzi superano in altezza quelli di altre città e sono una vera seduzione per chi li ammira; i mercati si presentano quali empori di prodotti d’ogni genere, con una svariata scelta di merci e articoli. Girgenti, che possiede anche orti e giardini lussureggianti nonché un’ampia varietà di prodotti frutticoli, è città antica le cui vestigia sono indizio della trascorsa eccelsa potenza. Tale è la quantità dei prodotti eccedenti al fabbisogno che tutte le grandi navi che vi approdano possono in pochi giorni fare carichi anche superiori alla loro stazza. Numerosi sono i suoi giardini, ben note le sue derrate; essa dista tre miglia dal mare».

Il geografo proseguirà poi il suo viaggio verso Sciacca (una giornata di cammino lungo il litorale): «Sciacca – scriverà nel suo diario Al Idrisi – è una località ridente ed aprica in riva al mare, discretamente popolata, fornita di mercati e molti palazzi. All’epoca presente, essa è il capoluogo dei distretti contigui e dei territori circostanti; il suo porto è sempre molto frequentato per l’incessante approdo delle navi provenienti dalla Tunisia e da Tripoli. Il territorio di Sciacca è comune a quello di Caltabellotta, fortezza di salda struttura e fortilizio torreggiante annidato su un’alta vetta difficile a raggiungersi. Eccellenti e ubertosi sono i campi, straordinariamente prospere le fattorie, molteplici e rare le qualità dei frutti. Il paese, fornito di sorgenti e fiumi disseminati di mulini, aveva in passato una considerevole popolazione ora trasferitasi a Sciacca sì che nella fortezza non vi sono rimasti che pochi uomini per proteggerla contro chi intendesse occuparla. Caltabellotta dista dal mare dodici miglia, nove da Sciacca e ad una giornata grande da Girgenti».

Il lavoro monumentale di Al Idrisi fu subito tradotto in latino e i suoi libri di geografia rimasero famosi per molti secoli, sia in Oriente che in Occidente. Oltre alla geografia, il maggiore contributo dell’arabo Al Idrisi nella Sicilia del XII secolo, fu quello degli studi delle piante officinali, di cui diede il nome in diverse lingue, studiando e rivisitando tutta la letteratura in proposito e deducendone che poco o nulla era stato aggiunto dall’epoca dei greci. Quindi collezionò un gran numero di esemplari di piante e ne riportò i dati in diversi suoi libri. Inoltre scrisse sulla fauna, sulla zoologia e sulle funzioni terapeutiche delle piante medicinali in particolare sul rabarbaro e sullo zafferano.

Quello di Al Idrisi fu tuttavia uno strano destino. Infatti mentre l’Islam occidentale subì il suo influsso per molto tempo e gli tributò ampi riconoscimenti, quello orientale decretò il silenzio quasi completo sulla figura dell’autore. E questo non tanto perché da musulmano aveva lavorato per un principe cristiano ma per aver messo continuamente in discussione quelle che erano le conoscenze e le credenze geografiche arabe.

La data della sua morte è controversa, tra il 1166 per alcuni, ed il 1180 per altri. In seguito l’opera di Al Idrisi cadde nell’oblìo più completo. Tra il 1836 e il 1840 una traduzione integrale dei testi di Al Idrisi venne fatta dal francese Amèdèe Jaubert ma fu fortemente criticata dallo studioso siciliano Michele Amari, autore di una monumentale “Storia dei musulmani di Sicilia”, che tradusse dall’arabo all’italiano tutta la parte del Libro riguardante la Sicilia e l’Italia, ricostruendone la relativa carta geografica. In definitiva la “storia” del geografo arabo Al Idrisi insegna ciò che ancora oggi viene fortemente auspicato, ossia l’avvicinamento tra Oriente e Occidente.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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