Cultura
“In Sicilia con Battiato”, il libro “innamorato” di Elvira Seminara: «Come un albatro che si tuffa in un lavandino»
Il 27 marzo la presentazione a Catania di questo volume straordinario e poetico della scrittrice catanese
E’ una guida per perdersi. Per tuffarsi in un universo magico e trasognato, volare su un tappeto, salire su un’astronave o sui treni di Tozeur, smarrirsi negli infiniti orizzonti di contemplazione. Per viaggiare in questo libro bisogna abbandonarsi alle parole, alle emozioni, alla bellezza. Quella dei cieli turchesi o indaco, dei tramonti commoventi, delle dune dalla malia africana narrati con una lingua immaginifica, vertiginosa, entusiasmante da Elvira Seminara nel suo poetico, magmatico, straordinario libro, “In Sicilia con Franco Battiato. Cortili e galassie di un’anima errante”, da dopodomani in libreria nella collana Passaggi di dogana per Giulio Perrone editore. Il volume sarà presentato il 27 marzo a Catania, a palazzo Scammacca del Murgo (ore 18.30) dall’autrice con Mario Incudine e Antonio Mistretta, intervento musicale di Giulio Pantalei. Poi il 28 sarà a Messina, alla libreria Bonanzinga, quindi al Fili Festival di Bordeaux, a Procida, a Torino e in altre città.
«Un libro “innamorato”», anticipa Elvira, legata da una lunga amicizia all’artista, «che non vuole essere esaustivo della sua vita o della sua opera. Un viaggio spostando lo sguardo anche su ciò che è invisibile agli occhi. Come dice in una canzone: “io amo quello che non è”».
Nelle prime righe, prima di salpare, e perdersi, scrivi che “immaginare Battiato che ci guida in Sicilia è come pensare a un albatro che si tuffa in un lavandino”.
«Battiato è un viaggiatore di luoghi dell’anima. Una creatura di altri mondi: guardava dall’alto, planava. Aveva una tensione mistica. Assumerlo come guida di uno spazio fisico e reale era una sfida temeraria, anzi, sembrava quasi di fargli violenza – spiega – L’unico modo di averlo come guida era camminargli accanto, con i suoi occhi e non con i suoi piedi, seguendo la linea del suo pensiero. La sua è una geografia esistenziale».
Quale strada hai scelto«Non è un viaggio che si muove dall’infanzia all’età adulta verso la maturità. È un percorso della memoria, andando avanti e indietro, fermandosi quando lui si ferma. Non c’è un cammino sequenziale, progressivo ma una dimensione circolare, in cui tutto è presente, tutto è simultaneo. Battiato è un’anima mutante, trasformativa, errante».
È anche un viaggio nella musica.
«Da fare con le sue canzoni in cuffia, anche a caso, senza logica o misura».
Cos’è la Sicilia di Battiato?
«E’ un viaggio emozionale. Mi interessava rintracciare cosa c’è della Sicilia in Battiato, la sperimentazione, il mito, la natura profonda dell’essere isola, la visionarietà della cultura siciliana. La radice araba. Si sentiva profondamente legato all’isola».

Quali sono le tappe?
«Ho ripercorso tante volte la sua passeggiata da via Umberto a piazza Duomo, avanti e indietro, nella città bianca e nera di lava, nella Catania esoterica. Amava la costruzione artigianale delle chiese, il lavoro degli artigiani, delle persone non consegnate alla memoria. Sulle orme di Gurdjieff, il suo maestro, gli interessava l’arte del fare. Ho seguito la pista degli odori, tra i profumi del suo giardino, della sua infanzia. E una rotta del gusto, con l’amato gelato al gelsomino e cannella, preparato in casa. Poi, una mappa sonora. Battiato, nella prima fase di sperimentazione musicale, registrava i suoni del mercato, le grida degli ambulanti e li mescolava a scrosci di pioggia o al latrato di un cane. Tutta la Sicilia per lui è una via dei canti. Ogni pietra risuona. E ancora una mappa dei cieli di Sicilia. Cielo è una delle parole più frequenti nelle sue canzoni, insieme con disciplina, cortile, catene».
Il sottotitolo del libro è “Cortili e galassie di un’anima errante”.
«Si muoveva tra minimo e massimo. C’era in lui anche una vena provinciale, il cortile è elemento fondamentale nei suoi testi, uno spazio simbolico tra il pettegolezzo e il senso della comunità».Il cantautore, che viveva “come un cammello in una grondaia”, aveva scelto Milo, all’ombra del vulcano.«L’Etna gli dava la vertigine, l’amava da lontano. Gli piaceva avere, da casa, la distesa libera dell’orizzonte. I luoghi della natura sono per lui spazio di preghiera, meditazione, contemplazione. Li attraversa con la mente».
A muntagna e il mare, acqua e fuoco.
«E in mezzo una terra instabile, imprevedibile. Io la chiamo “disforia isolana”, contrapposta all’isteria siberiana. Si esprime con la nostra inquietudine psicomotoria, con il non potere stare fermi da una parte o dall’altra. Un equilibrio dinamico instabile che abbiamo tutti, divisi tra partire e restare, tra l’urgenza di sconfinare e la nostalgia del ritorno».
Se Battiato fosse un luogo, cosa sarebbe?
«Forse una piazza, quella di Aci Castello. Un varco spazio-temporale. Un luogo dove ci sono il mito di Ulisse e Polifemo, la storia, con il castello normanno, la natura con la pietra lavica, e c’è tutta la vita possibile in contemporanea, la dimensione dell’assoluto presente della ciclicità della vita».Nelle pagine finali uno scritto insolito di Battiato nel 2010, «contiene tutti i suoi temi: le rose, la nebbia, i rumori, il silenzio, la vita vegetale, “il cielo con il suo carattere meridionale”. Una testimonianza che è quasi testamento». E un saluto: «Ciao Franco, questo libro si chiude qui. Ma tu no, non finisci mai».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA