È una notte di neve. Un’auto s’inerpica sulle pendici dell’Etna verso un hotel in disarmo, vuoto e chiuso da anni. Nel paesaggio soffice e immacolato il Grand Hotel della Montagna appare come un’ombra scura, inquietante. Un albergo in ristrutturazione isolato e spoglio, «quasi spettrale». Con un’atmosfera alla “Shining” si apre il nuovo romanzo di Cristina Cassar Scalia, “Il talento del cappellano” (Einaudi Stile libero) da ieri in libreria, il quinto della serie dedicata al vicequestore Vanina che ha conquistato il cuore dei lettori. Il nuovo, appassionante, romanzo sarà presentato dall’autrice – netina che da anni vive in provincia di Catania, oculista e scrittrice di successo – proprio a Catania venerdì alle ore 18 all’Auditorium dell’Istituto Sacro Cuore di via Milano (ingresso libero, indispensabile il green pass e indossare la mascherina) nell’appuntamento organizzato da Cral Unicredit Catania Siracusa Enna e Cavallotto Librerie. Converserà con l’autrice la scrittrice Gabriella Vergari, leggerà alcuni brani l’attrice Letizia Tatiana Di Mauro. Il 10 novembre, alle ore 18.30, Cassar Scalia sarà alla Libreria Mondadori di Palermo.
La nuova indagine dell’amata Guarrasi, da più di un anno vicequestore aggiunto della sezione Reati contro la persona della Mobile di Catania, innamorata di cinema e buon cibo siculo, leonessa un po’ burbera, sbirra in gambissima e tormentata, snocciola un paio di omicidi, un cadavere che scompare, una squadra di comprimari piena di carattere e un ritratto sempre più seducente di Catania. A partire dalla “Muntagna” e da quell’albergo carico di misteri.
«Il Grand Hotel del romanzo è il Grande Albergo dell’Etna, un luogo che mi ha sempre affascinato tantissimo perché è quello dove ho visto per la prima volta la neve in vita mia e si era impresso nei ricordi – racconta Cristina Cassar Scalia – La strada per raggiungerlo è stata interrotta da una colata lavica negli anni 80 ed rimasto chiuso per anni. Aveva un’atmosfera suggestiva e ho conservato l’idea di usarlo. L’Etna, poi, esercita su di me un grande fascino, è sempre presente».
Un intreccio fitto di colpi di scena e ancora una volta una storia che guarda indietro. Dal passato non si può scappare.
«È sempre così nei miei gialli. Vanina tende a scavare, io dico “ravanare”, nel passato delle vittime in cerca di qualche motivazione. E poi mi piace avere una scusa per raccontare il passato, per esempio in “Sabbia nera”, il quartiere di San Berillo e la chiusura delle case tolleranza, ne “L’uomo del porto” gli anni 70, le comuni e l’avvento dell’eroina. Mi interessa molto raccontare il passato di Vanina, che ho voluto così drammatico, il padre ucciso dalla mafia davanti ai suoi occhi negli anni terribili della guerra tra le cosche, appena prima della stagione delle stragi. Anni che voglio far ricordare, soprattutto ai lettori più giovani».
Torna don Rosario Limoli con i suoi ragazzi di San Cristoforo.
«Vengono da realtà difficili e si tirano fuori dal mondo in cui sono nati, mi piace aprire varchi di speranza in situazioni che spesso si immaginano a priori disperate».
Non solo aperitivi e pause pranzo gourmet nell’itinerario della protagonista.
«Non volevo raccontare una Catania da cartolina, ma una città, una Sicilia vera, senza edulcorarla. Ci sono i quartieri popolari, così come la spazzatura per strada o le code infinite. Tanti lettori mi dicono di essere andati a Catania perché innamorati della città di Vanina che affascina nonostante tutto questo, con le sue sfaccettature e contraddizioni».
Intorno a Vanina una squadra di personaggi che ha sempre più spazio, dal commissario in pensione Patanè, a Marta Bonazzoli e Spanò.
«Ho lavorato molto per costruirli. Quando ho scritto “Sabbia nera” non sapevo se sarebbe stato pubblicato, entravo nel giallo per la prima volta e non pensavo a una serie. Ho voluto immergermi nell’ambiente che stavo raccontando, ho conosciuto i poliziotti della Mobile, sono andata nei loro uffici. Ho cercato di assorbire le loro conversazioni, il mondo in cui si rapportano con i superiori. E da quando scrivo gialli ho sempre più amici in Polizia. Ciascun personaggio ha sue caratteristiche e ha un ruolo, anche se nessuno ha l’importanza di Patanè».
La lingua è colorata da termini dialettali, da “catanesate”, come le definisce nel libro: a morte subitanea, di bonu e bonu.
«La Sicilia non è un’entità unica, ogni pezzo ha le sue tradizioni, i suoi termini dialettali, le sue caratteristiche. La zona etnea è molto peculiare a partire dalla pietra lavica e mi piace che emerga la diversità tra Palermo e Catania. Ho voluto avere lo sguardo di una protagonista non catanese che scopre alcune cose e magari se ne stupisce. Un po’ quello che è capitato a me, sono arrivata a Catania a 18 anni, per frequentare l’Università e l’ho scoperta un po’ per volta».
In Sicilia la scrittura è donna.
«È fimmina – ride la scrittrice – Che la Sicilia sia una fucina di scrittori non è una novità, c’è un pezzo importante della letteratura italiana che viene dall’Isola. Il fatto che adesso ci sia una prevalenza donne forse è un po’ figlio dei tempi. Era ora!».
Una terra tinta di giallo da Camilleri a Savatteri.
«La Sicilia si presta molto al giallo, ha un chiaroscuro di fondo, è trafitta dal sole ma piena di ombre, una terra dai colori forti che ha molti risvolti sottotraccia. E’ un’isola “nera”, dalla doppia personalità».
Vanina è pronta a diventare un’eroina televisiva.
«I diritti sono stati acquistati da tempo e il progetto sta procedendo, prima o poi arriverà».
Il romanzo esce a pochi mesi dal precedente “L’uomo del porto” che ha trionfato nelle classifiche
«Due libri in un anno, un’impresa. Avevo una storia che mi piaceva tantissimo e volevo raccontarla, ma è stato molto faticoso, ho scritto durante un’estate anomala, ad agosto a Noto».
L’idea come nasce?
«Da un luogo, da una sensazione, da un contesto sociale, da una storia che vuoi raccontare, l’idea è arrivata mentre scrivevo quello precedente, mi sono messa al lavoro immediatamente dopo. Il prossimo? Anche stavolta la storia c’è già, ma stavolta passerà un po’ più tempo».