La notizia di una seconda edizione del libro cult del giornalista e scrittore Leonardo Lodato, “Cielo, la mia musica!”, edito dalla Domenico Sanfilippo Editore, stranisce. Perché mai un libro ha come due vite? La risposta materiale risiede nel nuovo formato e nel collegamento ad una playlist di Spotify con brani scelti dall’autore, oltre alla distribuzione su Amazon e Hi-QU con il partner Compagnia Nuove Indye, e alla scelta dell’utente di avere una copertina con grammatura da “salotto”, piuttosto che la versione economy.
C’è, però, anche una risposta formale. O almeno, piace pensarla così. E per scoprirla, va raccontato l’autore. Nato come firma nel quotidiano “L’Ora” di Palermo sotto lo pseudonimo “Dino”, Leonardo è approdato alla fine degli anni Ottanta sugli schermi di “Antenna Sicilia” e nella redazione del quotidiano “La Sicilia”, crescendo insieme con queste. Al posto di Dino, i suoi articoli riportano ormai da tempo il nome per esteso, passo che segna l’evoluzione di un giornalista-personaggio, mai invecchiato seppure maturo, e compositore di uno spartito, il suo, intriso di nuove scoperte, di mestiere e passione.
Bentrovato Dino. O Leonardo?
«Leonardo, Dino è morto. Dino is dead!».
Quindi, quando nasce Leonardo?
«È sempre esistito. Anagraficamente, è nato insieme con Dino. Da piccolo, tutti ritenevano che Leonardo fosse un nome da grandi, da adulti. Dino nasce dal vezzeggiativo di Leonardo. Dunque, Leonardino: Dino. È esistito per tanto tempo. Ad un certo punto, mi sono trovato cresciuto, riappropriandomi del mio nome».
Pare che Dino abbia un’anima da “Peter Pan”. È morta anche questa?
«Mai. Ho fatto mio un aneddoto raccontato dallo scrittore Jack Kerouac nel suo libro “On the Road”, in cui rivela il “vagolare” da una stella ad un’altra in compagnia di alcuni amici in cerca di avventure. Ecco, questo mio Peter Pan saltella da una stella all’altra, anche lui in cerca di nuove avventure».
Una di queste è “Cielo, la mia musica!”, che arriva dopo il libro d’esordio “Storie di uomini e di navi, un’avventura chiamata Veniero” del 2012. Perché gli artisti intervistati sono dodici?
«È stata una scelta difficilissima. Ho dovuto fare una selezione tra circa trenta artisti, già intervistati in passato. Si tratta di personaggi diversi tra loro. Ognuno mi ha lasciato qualcosa di sé. Ad un certo punto della vita professionale si rischia di mischiare il privato con il pubblico, non avendo quasi percezione di dove finisca uno e cominci l’altro. Qui ho voluto fare questo: partire dal pubblico, sfiorarlo, ed entrare nel privato. Tutti e dodici si sono prestati con grande entusiasmo».
Da quanti anni svolgi il mestiere di giornalista?
«Adamo ed Eva già esistevano. Il mio primo articolo, che era un’inchiesta pubblicata dal quotidiano del pomeriggio L’Ora di Palermo, riguardava la musica tra i giovani e intervistai i miei compagni di classe del liceo. Sono sempre stato un amante di musica. È così che ho iniziato a portare nel mondo del lavoro la mia passione».
Come si è trasformata, se così si può dire, la musica in questi anni?
«Non è cambiata così tanto. La musica mainstream segue l’evoluzione o involuzione dell’umanità. Può piacere o meno, ma fa parte di un linguaggio, che è quello del momento. Altre forme musicali, quelle a cui sono più legato forse per questioni anagrafiche, rimangono comunque stabili. Posso dire, però, che, negli anni Ottanta, la musica del tempo non mi piaceva. Oggi ritengo, invece, che abbia dato tantissimo».
Qual è l’evoluzione della carriera di un musicista?
«Oggi un artista ha, in apparenza, vita facile in virtù di mezzi che permettono di registrare a Catania ed arrivare a New York, come a Londra e Tokyo. La gavetta si fa su YouTube e, se va bene, partecipando a “X Factor” o “Amici”. Fino a qualche anno fa, invece, si doveva registrare la cassetta in sala e fare la gavetta per strada, girovagando con in spalla e a braccio il proprio strumento musicale. Una volta entrai in un locale del centro di Catania, trovando seduta su di uno sgabello una ragazzetta che cantava e suonava la chitarra. Mi piacque e le feci un’intervista. Questa ragazza si chiamava Carmela, detta Carmen. Era la Consoli. Suonava di fronte a una trentina di persone e ancora era un’absolute beginner. Se avesse avuto oggi 20 anni non l’avrei trovata in un pub a suonare, bensì magari nella sua cameretta davanti al pubblico di YouTube».
Chi è la “madre” di “Cielo, la mia musica!”?
«La luna (ride, ndr). Quando mi sono trasferito nell’attuale casa in cui abito, mia moglie Amalia mi ha regalato un telescopio. Ho cominciato a osservare le stelle. Da lì è iniziata l’idea di creare una costellazione di artisti».
Il 2021 è l’anno di “Music of the Spheres”, nuovo album dei Coldplay, spiegato dagli stessi autori come un viaggio cosmico tramite i pianeti dell’universo. Che forse hanno copiato la tua idea?
«Mi piace pensarlo. Del resto, come canta il frontman Chris Martin, ognuno di noi è un extraterrestre, da qualche parte».
Pazza l’idea. Stupendo il pensiero.