Catania
Addio a Mario Grasso, gentiluomo della parola
Lo scrittore, poeta, editore e critico letterario, aveva 90 anni
Si è spento a 90 anni Mario Grasso, scrittore, poeta, editore, critico letterario e “firma” della nostra pagina culturale con la rubrica fissa “Vocabolario”, la cui ultima uscita risale proprio a sabato scorso. Era nato ad Acireale nel 1932.
Scrittore, poeta, critico letterario, editore, in questo caso affiancato dalla diletta moglie Nives, infaticabile organizzatore culturale, scopritore di talenti e uomo che, per dirla con Sciascia, contraddisse e si contraddisse: tutto questo è stato Mario Grasso, una figura che ha segnato fino alla sua morte, avvenuta ieri a Catania a novantanni, oltre un cinquantennio di cultura catanese e siciliana. Instancabile promotore di incontri e convegni, sempre teso a uno scambio di idee, a un confronto, a una riflessione sul presente e sul passato della letteratura, era un uomo per cui la scrittura era ragione di vita. E con spirito socratico s'ingegnava anche a farla germogliare nello spirito degli altri, soprattutto giovani. All'ultimo convegno sulla salute del dialetto siciliano organizzato una settimana fa a Catania non aveva potuto partecipare per i postumi di una malattia e, poiché ero tra gli invitati, mi aveva telefonato per dispensarmi dall'andare. Avrei mandato una nota da includere nel volume degli atti. Quella telefonata era stata molto affettuosa; all'altro capo del filo c'era un uomo che, pur essendo stato malato, faceva ancora progetti per il futuro con gli amici di sempre e con la squadra di giovani di cui amava circondarsi, che lo riempivano di vita e di speranza e che, a loro volta, lo ricambiavano con un rispetto sacrale.
Mario sapeva però che l'immortalità letteraria spesso è effimera e quel che resta è ciò che si è seminato. In questo senso la sua lezione gli sopravviverà a lungo, almeno finché ci sarà ancora rispetto per la memoria e per i maestri. Il nostro primo incontro risale al 1978, quando scrissi un articolo sulla cultura ad Acireale, città clericale e aristocratica in cui mal si sopportava la presenza di un eversore e contestatore, che venne bollato come descamisado, alludendo ai seguaci in Argentina di Evita Peron, ma con una sfumatura dispregiativa. In quella città le origini contavano. Le mie giovanili simpatie andarono naturalmente allo scrittore che non si piegava agli schemi e andava controcorrente, per un'innata idiosincrasia a qualsiasi potere evidente od occulto. E furono i germi di una lunghissima amicizia. Era impossibile per qualsiasi giovane intellettuale non incrociare Mario Grasso, per vari motivi: innanzitutto come autore di narrativa, poesia e teatro; poi per la sua attività culturale, sin dalla Settimana culturale acese che organizzava ogni autunno ad Acireale e a cui partecipava il meglio della poesia, della narrativa e della critica italiana. Inoltre per la sua attività editoriale. Infine per la sua collaborazione alla pagina culturale della "Sicilia", di cui per un lungo periodo è stato il critico letterario per eccellenza. La sua firma appariva immancabile nella pagina dei libri il venerdì. Più tardi al giornale inventai per lui la rubrica settimanale "Vocabolario" in cui analizzava le parole di moda, occasione per riflettere sulla nostra società, con la sua sensibilità linguistica da scrittore consumato, con ironia, sarcasmo e, a volte, come fustigatore di costumi. Conosceva tutti e da tutti era conosciuto. Mi presentò Giuseppe Pontiggia, Maria Corti, Leonardo Sciascia, venuto ad Acireale, inviato da un settimanale, per scrivere un articolo sull'opera dei pupi. Di lui e della sua presenza pervasiva nella Sicilia orientale si erano accorti anche a Mosca ai tempi dell'Unione Sovietica e degli euromissili a Comiso, quando la Sicilia divenne terreno di scontro anche propagandistico tra Est e Ovest. Fu allora che cominciò la fase internazionale della sua vita con frequenti viaggi nell'Unione Sovietica di Gorbaciov, a capo di delegazioni di intellettuali, politici ed ecclesiastici. Partecipò anche ad un importante ricevimento al Cremlino. A Kiev allora era di casa. E mi ricordo dell'ammirazione che nutriva per lui un'importante italianista ucraina, nazionalista ed antisovietica. Non fu mai però un militante politico, l'unica militanza, l'unica devozione da cui era posseduto era per la scrittura, in cui spaziava dal racconto satirico alla poesia dialettale, dai versi in lingua italiana alle impervie e ariose vette del poema epico, come i Guerrieri di Riace. Sapeva essere satirico, umoristico, paradossale, sarcastico e sentimentale. Uomo umorale, generoso e tormentato, dalle sfuriate improvvise, era un grande costruttore di cattedrali fantastiche e tessitore assiduo di relazioni umane, ma in questo caso, come Penelope, ciò che tesseva di giorno disfaceva di notte. Per anni fu al centro di una rete che, con le sue indubbie capacità letterarie e se fosse stato più accorto e malleabile, lo avrebbe potuto proiettare nell'Olimpo della letteratura italiana. A volte però era capace di distruggere un rapporto per un nonnulla, un ghiribizzo, un sospetto, una contrarietà che la sua sensibilità acuita al massimo grado gli ingigantiva. Ora che ogni passione è spenta resta la limpida testimonianza della sua scrittura ed echeggia nella mente l'eco del suo saluto da siciliano antico. Non possiamo che ricambiarglielo per l'eternità: Don Mario, vossia benedica.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA