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Il dibattito

A Teramo ruspe per liberare il “Teatro” romano. E a Catania?

La visuale della scena del monumento è in parte ostruita dalla facciata interna di palazzo Fasanaro 

Di Pinella Leocata |

A Teramo è appena cominciato l’abbattimento di due palazzetti di tre piani edificati a fine Ottocento su parte della scena del teatro romano costruito sotto l’imperatore Adriano. Una scelta di cui si era cominciato a discutere già agli inizi del Novecento e ancora nel 1937, ma poi bloccata dalla guerra. Una vicenda che richiama quella del nostro teatro romano e dell’annosa questione legata alla demolizione della parte interna di palazzo Fasanaro che grava su uno spicchio della scena e che, con la sua mole, ostruisce la vista dei potenziali spettatori dai gradoni di due cunei della cavea. 

Innanzitutto va detto – come sottolinea la direttrice del Polo museale Gioconda Lamagna – che, allo stato, «non c’è alcun progetto relativo ad un eventuale abbattimento della parte interna del palazzo che, tra l’altro, è un importante edificio ottocentesco, una traccia significativa delle stratificazioni architettoniche del monumento. E del resto le precedenti demolizioni fatte negli anni addietro hanno riguardato edifici ritenuti di nessun interesse storico monumentale». Eppure, più volte, nel passato, si è discusso di una ulteriore liberazione del teatro romano demolendo parte di questo moloc costruito al suo interno. Se ne parlò tra il 1959 e il 1971, ai tempi in cui il teatro fu liberato dalle case medievali che erano state costruite sui suoi ambulacri. Allora Bernabò Brea e Italo Gismondi si fermarono davanti al colosso di palazzo Fasanaro e salvarono metà della stradina che tagliava il quartiere medievale perché fa da contrafforte all’edificio. Dunque non soltanto per rendere visibili le varie stratificazioni storiche.

E se ne è tornato a parlare tra il 2000-2008 quando l’allora direttrice della sezione archeologica della sovrintendenza Maria Grazia Branciforti riuscì a fare approvare dalla Regione la demolizione della parte retrostante di palazzo Fasanaro costruita in maniera caotica e senza un progetto. Allora ottenne dall’Unione europea i fondi per l’esproprio di tutto il palazzo e vinse un primo ricorso fatto dai proprietari. Poi la legge sugli espropri cambiò, il Tar impose di rifare la procedura e i privati vinsero il ricorso perché fu ritenuta non sufficientemente motivata la pubblica utilità dell’esproprio. 

Allora la dottoressa Branciforti aveva presentato un progetto per realizzare un “museo del teatro” a palazzo Fasanaro – di cui si pensa che il progettista possa essere Carlo Sada, l’architetto del Teatro Bellini. Qui, nelle parti che prospettano su via Vittorio Emanuele, era prevista la realizzazione di sale espositive e didattiche, di laboratori di restauro, di magazzini, di un auditorium, di una biblioteca specializzata sui teatri antichi e sulle opere che vi si tennero nell’antichità e di un bookshop e servizi aggiuntivi. Purtroppo non se ne fece niente. 

Di riprendere le procedure per l’esproprio, in vista dell’abbattimento della parte interna di palazzo Fasanaro, si riprese a parlare nel novembre del 2016 su proposta del sindaco Bianco che intendeva aumentare la visibilità dai gradoni del teatro portando a 4.500 il numero dei possibili spettatori rispetto al massimo di 1.500 che erano stati consentiti per la messa in scena di Norma. Ai tempi dei romani gli spettatori erano 7.000. In questa prospettiva s’inquadra la visita al teatro antico del presidente della Regione Rosario Crocetta il 4 dicembre del 2016. Una visita a suo modo memorabile dal momento che il presidente ipotizzò l’abbattimento di tutti i palazzi che “ostruiscono” la vista del teatro da via Vittorio Emanuele e dunque, non solo Palazzo Fasanaro, ma anche quello in cui hanno sede gli uffici del parco e persino Palazzo Gravina Cruyllas, casa natale di Vincenzo Bellini, monumento vincolato.

Al loro posto il presidente Crocetta ipotizzava un’architettura moderna in vetro, magari con il coinvolgimento di Renzo Piano, a tutela delle incursioni notturne dei vandali. Non solo. Il suo assessore alle Infrastrutture Pistorio avanzò anche la proposta di demolire le case su via Teatro Greco che ostruiscono la vista delle terme della Rotonda dall’Odèon. Proposte, quelle del presidente della Regione, accompagnate da un attacco contro i «passatisti e i mummificatori del passato protèsi a chiudere anzicché ad aprire i monumenti».

Ferma e pacata la replica dell’allora direttrice del Parco archeologico Maria Costanza Lentini che, di fronte a tanta foga, spiegò come – in base ai criteri archeologici e urbanistici odierni e al grande interesse delle stratificazioni storiche – fosse inconcepibile demolire i palazzi storici su via Vittorio Emanuele, quinta che tra l’altro caratterizza il nostro teatro antico come un unicum rispetto agli altri dell’isola. Solo a Catania, infatti, entrando in un portone di una strada ottocentesca ci si trova davanti alla cavea di un teatro romano.

Non solo. Spiegò che non era detto che sotto palazzo Fasanaro si trovassero significativi resti archeologici dal momento che le tecniche costruttive ottocentesche prevedevano la realizzazione di una piattaforma dopo aver raso al suolo tutto quello che c’era sotto. Spiegò che anche l’eventuale taglio di parte della stradina medievale, quella sugli ultimi due archi, era ipotizzabile soltanto dopo il parere di ingegneri strutturisti competenti dal momento che la strada fa da contrafforte a tutto palazzo Fasanaro. Ricordò come gli espropri pongono l’enorme problema delle risorse e degli espropri – qui tentati senza successo – e che, comunque, il teatro antico di Catania, per la sua particolarità, non è adatto a spettacoli che richiedono allestimenti scenici pesanti. Quelli per la Norma avevano danneggiato i marmi dell’orchestra.

Di contro suggerì che il numero degli spettatori poteva essere portato facilmente a 2.000 costruendo dei sedili in legno sulla summa cavea e recuperando alcune parti vicino all’ingresso, ora inaccessibili per motivi di sicurezza. 

Da allora di questi progetti non si è più parlato sebbene potrebbero avere ancora un grande interesse, ovviamente nel rispetto dei beni monumentali e delle stratificazioni storico-architettoniche.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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