La “classe” è eterogenea, per età e per interessi. C’è l’ingegnere, l’agrotecnico, il pensionato, la studentessa di Belle Arti. Tutti accomunati dall’interesse per i muretti a secco, quell’invenzione “patrimonio dell’umanità” che nessuno sa più costruire ma che rappresenta un marchio di fabbrica delle campagne siciliane e – in tempi di ecosostenibilità – uno strumento potentissimo per la manutenzione del paesaggio, la limitazione del rischi idrogeologici, la manutenzione delle campagne, la tutela della biodiversità.
È ormai un’impresa trovare un muratore siciliano che realizzi muretti a secco senza un filo di cemento. Questo saper fare è sempre di più appannaggio di operai albanesi e romeni, se non ci fossero loro sparirebbero i muretti. «Sì – conferma il “prof” Giuseppe Genovese, randazzese doc, muratore precario della Forestale – gli italiani siamo rimasti in pochi. Anche nella Forestale ci sono pochissime persone in grado di tirare su un muretto a secco. A me l’ha insegnato un anziano cavatore di pietre di Catania, si chiamava Antonino Ruffino, lui mi spiegò la tecnica del fare i buchi sulle pietre: si mettevano dei “cugni” e si spaccava con la mazza».
«Trasmettere questa conoscenza ha un valore importantissimo – aggiunge Genovese – questi muri stanno andando tutti alla deriva e se non c’è chi li “riprende” scompariranno per sempre. Noi abbiamo utilizzato la tecnica di costruire il muro con le pietre del posto, e anche questa è una cosa che non fa più nessuno. Oggi al massimo si prendono le pietre dalla cava, gli si fa una bella squadratura per rendere le pietre più regolari, nessuno si mette più a spaccare pietre “su misura”, purtroppo è così. Non so se i muretti avranno un futuro, c’è da considerare che purtroppo si tratta di un lavoro sottopagato, la manodopera costa e ci vogliono almeno 4/5 giorni per rifare un muretto come quello che abbiamo tirato su noi, con il cemento ci metti la metà del tempo».
Ma qual è il segreto per fare un muretto a secco a prova di crollo? «È assemblare le pietre – spiega Genovese – più lunghe sono, più il muro tiene». «Riconoscere quali pietre mettere davanti, quali dietro – conferma Giusy Maria Catena Oliveri, 22 anni, di Aci Catena, frequenta l’Accademia di Belle arti di Catania dove studia comunicazione e valorizzazione del patrimonio artistico – e incastrarle bene fra loro. Non ho campagne, ho voluto frequentare il corso come arricchimento del mio bagaglio culturale. Per me è una tradizione antica che dovrebbe continuare perché c’è una vera e propria arte dietro, e sarebbe un peccato non tramandarla alle future generazioni».
«Costruire un muretto a secco è abbastanza impegnativo ha un alto valore sia da un punto di vista di lavoro ma anche perché permette lo sgrondo idrico e previene le frane – osserva Carmelo Belfiore, 42 anni di Acireale, agrotecnico e ragioniere programmatore -. Poi è anche un elemento caratterizzante del nostro territorio. Siamo siciliani e abbiamo dei brand che possono essere valorizzati, come l’Etna e la sua lava. Se li “mettiamo a sistema” possiamo venderli ai turisti, ma li dobbiamo mettere in ordine. Si aprirebbero delle opportunità di lavoro per noi e per l’indotto sul territorio».
Per Alfio Barbagallo, 57 anni, quella di costruire un muretto a secco era una curiosità che si portava dietro da ragazzo. «Oggi sono pensionato – ho un po’ di campagna ed è arrivato il momento di capire come si fa. Non dico di essere in grado di costruirlo da zero, ma almeno so che se dovessi chiamare qualcuno a realizzarlo potrei capire se lo sta costruendo a regola d’arte o no».
Salvo Leanza, 31 anni, ingegnere e architetto, invece, voleva comprendere meglio le tecniche di costruzione e valorizzazione dei muretti a secco. «Conoscere per salvare – sintetizza Salvo Leanza, 31 anni, ingegnere e architetto. – Faccio dei corsi pomeridiani con i bambini che hanno a che fare con i beni culturali, e con il patrimonio storico artistico in generale. Volevo comprendere meglio le tecniche di costruzione dei muretti a secco patrimonio dell’Unesco e trasferire queste tecniche ai bambini. Ho imparato che costruire un muretto a secco è veramente complesso perché ci sono tanti parametri da tenere a mente affinché resista il più a lungo possibile. È una tecnica che ha bisogno di tempo, qualcosa di molto diverso rispetto alla velocità delle moderne tecniche di costruzione. Qui serve tempo, pazienza per scegliere le pietre, pazienza per trovare l’incastro giusto».
Il corso è stato organizzato dalla Fondazione Città del fanciullo di Acireale (spalmato su due anni) ed è una delle attività del progetto Mipat (Mitigazione idrogeologica paesaggio ambiente e territorio) finanziato da Fondazione con il Sud sul bando Ambiente uscito nel 2018. Capofila del progetto (in questo caso mirato sulla riserva della Timpa di Acireale) che conta su un partenariato con associazioni del terzo settore, Università di Catania, Comune di Acireale e Regione Siciliana, è stata Legambiente Acireale. «La filosofia che sta dietro al progetto è guardare ai rischi ambientali non soltanto dal punto di vista del territorio, ma anche dal punto di vista culturale – dichiara la coordinatrice Vera Pavone, presidente di Legambiente Acireale -. Il muretto a secco è stato un’infrastruttura agricola che ha una grande valenza in quanto è uno strumento che contrasta il rischio idrogeologico, cura il territorio, tutela il paesaggio agricolo e la biodiversità perché fra le sue pietre vivono piante, insetti e animali in un ecosistema biodinamico molto delicato. Purtroppo è un patrimonio che noi rischiamo di perdere perché non ci sono più maestranze in grado di costruirlo e anche per la crisi del settore agrumicolo. Ecco perché abbiamo pensato di fare questo corso, per sensibilizzare e riscoprire quest’antica arte nella speranza che si possano attivare dei processi che ne rendano permanente la conoscenza. Possiamo fare tutto quello che vogliamo ma se non c’è un mercato che richiede il muretto a secco purtroppo queste conoscenze andranno perdute. Invece abbiamo voluto fare proprio quest’opera di sensibilizzazione con agricoltori e professionisti con l’auspicio che un corso del genere possa diventare permanente».
Gli studenti del corso (curato da Marina Scandurra, responsabile della Formazione per la Fondazione Città del fanciullo) hanno frequentato sia lezioni in aula che en plein air, grazie a insegnanti che hanno spiegato loro gli aspetti tecnici e paesaggistici dei muretti a secco. In particolare Antonio Sgroi e Giuseppe Genovese (lezioni di teoria/pratica), Attilio Mondello (aspetti tecnici), Daniela Vanella (aspetti idrogeologici); Agatino Sidoti (aspetti naturalistici); Maria Coppolino e Claudio Patanè (aspetti paesaggistici).
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